A nni di piombo, anni ancora roventi nella memoria di Francesco Mazzamurro, funzionario di polizia che nella nostra città ha trascorso la maggior parte della sua carriera. A Parma arrivò da commissario di fresca nomina, nel 1973: poteva sembrare un fronte secondario, nell'Italia attraversata da violenze e tensioni, e invece i borghi all'ombra del Battistero erano uno snodo strategico. Con una Squadra mobile più «mobile» di altre, spesso chiamata a intervenire altrove, e sempre nell'ombra.
«Un gruppo amalgamato alla perfezione - ricorda lui - con un'organizzazione perfetta dei servizi, che rese questa città per una quindicina d'anni sicura e impenetrabile, tanto da meritare l'appellativo di “oasi felice”».
Fu a capo di questa punta di diamante di borgo della Posta che Mazzamurro venne messo nel 1975. Qui, come «maestro e collaboratore prezioso e fedelissimo, cui va sempre la mia ri conoscenza per quanto mi ha in segnato e la mia ammirazione per la sua preparazione e l'impegno profuso in quei terribili anni di piombo» trovò Ermes Zappavigna. Fu proprio lui, il leggendario maresciallo, «a suggerire la mia nomina» ricorda Mazzamurro, per la successione a Gianni Carnevale trasferito alla Questura di Roma. A dirla tutta, il giovane commissario ne avrebbe fatto anche a meno di quell'incarico.
«Sia per la notorietà di chi mi accingevo a sostituire, conosciuto come spericolato e onnipresente, che per il periodo che il Paese stava attraversando, particolarmente turbolento. Peraltro, mi ero sposato da poco, e l'idea di trascorrere la giornata se non addirittura la notte in Questura certo non mi affascinava».
Un trampolino di lancio che gli avrebbe permesso di ottenere cinquanta tra attestati di lode, lettere di compiacimento, premi in denaro, prima dell’attestato di «merito speciale» per la lotta al terrorismo e il conferimento della medaglia di bronzo al merito di servizio negli anni 1980-1990, di quella d’argento negli anni 1990-2000 e quella d’oro negli anni 2000-2010 (dopo essere stato vicequestore vicario a Lodi e quindi a Verona, dove ha concluso il servizio nel 2005).
Lui immaginava che sarebbe stata dura, ma non fino a tanto. «Così come alto sarebbe stato il rischio anche per i miei figli, allorchè col trascorrere degli anni le operazioni contro il terrorismo aumentarono, e personaggi di Prima Linea, Azione Rivoluzionaria, anarchico insurrezionalisti, Brigate Rosse ed esponenti della destra neofascista vennero catturati». Il buongiorno di quella sua nuova sfida, per così dire, lo si vide dalla sera: la sera dell'8 settembre, al suo debutto alla guida della Mobile. Con l’allora sovrintendente Giuseppe Cosi, Mazzamurro decise di perquisire un'auto con quattro persone a bordo posteggiata all’altezza del distributore Total, dopo l’arco di San Lazzaro. «Sotto il sedile dell’autista trovai nastro adesivo, passamontagna e un rotolo di corda e celata in una busta di plastica una pistola Beretta. I quattro si stavano accingendo a una rapina con sequestro di persona ai danni dell’imprenditore Salvarani».
Nei ricordi del funzionario segue una lunga lista di nomi, indagini e blitz con quella che lui chiama «la squadra», semplicemente. «Ricordo con ammirazione e senso di gratitudine gli allora marescialli Nello Piacentini, Girolamo Clemente, Antonio Caruso, Di Cosmo, Cristoforo Cercello, Giuseppe Del Vecchio, Giuseppe Cosi, i sovrintendenti Bruno Cervini, Balilla Funicelli, gli appuntati Luigi Ravo, Lombardini, Ezio Colatei, Gaetano Di Benedetto e gli agenti Ezio Giorgi, Giuseppe Tramuta e Giuseppe Festa. Rapine scoperte, arresti di terroristi, la liberazione dell'imprenditore Girelli nel 1978, con un'irruzione a Villafranca di Verona. Ma anche salvataggi in extremis. Come quello, nel 1979, della piccola Cristina. La madre l'aveva abbandonata sul greto della Parma, simulando un sequestro: pochi minuti di ritardo e sarebbe morta assiderata».
Il 29 dicembre 1976, l'irruzione «con il maresciallo Del Vecchio e l’agente Giorgi in un appartamento del quartiere Montanara, essendo giunta la segnalazione che deteneva abusivamente due armi da fuoco. Nell’uscire dall’abitazione, notai il mazzo di chiavi, occultato sotto una carpetta, che permetteva d'accedere alla cantina che l'arrestato aveva negato di possedere. All'interno, un arsenale straordinario di armi, munizioni e bombe a mano, circa un migliaio, tutte in perfetta efficienza, pronte all’uso per azioni terroristiche».
Nel 1979, «con Zappavigna e altri della squadra, andammo in trasferta a Bologna, per arrestare Gianfranco Faina, il leader di Azione Rivoluzionaria che si nascondeva in una mansarda». Il nome di Mazzamurro è legato anche a uno dei casi giudiziari che hanno riempito più pagine di cronaca negli ultimi decenni della nostra storia. «Nel febbraio del 1987 - racconta - pochi giorni prima del trasferimento alla Digos, arrestai all’aeroporto di Linate la ballerina polacca Katharina Miroslawa, indicata come la mandante dell’omicidio di Carlo Mazza. La certezza della sua responsabilità la desunsi da una telefonata che il giorno dell’omicidio la donna dalla Germania fece a Mazza, acquisendo informazioni sui suoi spostamenti, che poi comunicò con una telefonata al marito che si trovava a Parma».
Pochi mesi dopo, sempre un night di Modena fu il crocevia di un'altra inchiesta. «Un estremista di sinistra in quei giorni era stato denunciato dalla Mobile come autore di una rapina in banca con due complici». Ma per arrestarlo mancavano le prove. «Così, sfruttando un momento di crisi con la sua donna, una ballerina dominicana di un night di Modena, registrai su una cassetta una finta conversazione telefonica tra due ispettori, un calabrese e un emiliano, nella quale emergeva l’intenzione di far tacere la donna perché a conoscenza di particolari scottanti. Così riuscii a convincere la ballerina a parlare». Furono recuperate delle armi e il terrorista venne incastrato, prima che a suon di rapine riuscisse a finanziare la fuga di Mario Tuti dal carcere di Porto Azzurro.
«Aver agito con coraggio e discrezione, senza creare allarmismi, che avrebbero sconvolto in quegli anni di piombo la quotidianità serena dei parmigiani - conclude Mazzamurro - è un merito di tutti gli uomini ricordati, che hanno spesso rischiato senza mai tirarsi indietro».
© RIPRODUZIONE RISERVATA