
C'è agosto e agosto. Mentre a Roma, dalle stanze dei bottoni continuano a ripetere, fastidiosamente, che «loro» sono lì, in piena stagione balneare, a lavorare per il bene degli italiani, un esercito di giovani inoccupati decide, durante l'estate, di rinunciare alle vacanze per guadagnare qualche soldo. Basta guardarci attorno. Sono ragazzi che lavorano per tre-quattro mesi, senza staccare, coprendo i picchi in ristoranti, bar e negozi, presi d'assalto dai turisti lungo tutto lo Stivale. Alla fine, racimolano un piccolo gruzzolo, una boccata di ossigeno che servirà a coprire le spese nei mesi successivi, in attesa di qualcosa di meglio. Storie come quella di Sebastiano, che ha 19 anni e vive a Siniscola. Da maggio a settembre lavora 7 giorni su 7 come garzone tuttofare in un chiosco sulla spiaggia. Sta dietro al bancone dalle 8 alle 21 e alla fine della giornata pulisce e riordina. Vive al mare ma è pallido come un nordico, guadagna 1.000 euro al mese, rinuncia a divertirsi, non si lamenta mai. Angelica, invece, ha 23 anni e nei 4 mesi estivi ha un contratto a termine, come aiutante, nella cucina di un ristorante della riviera romagnola. Sta sempre rinchiusa tra pentole e vapori ma, per fortuna, un giorno di riposo ce l'ha. La sua paga supera di poco il «collega» sardo. I lavoratori stagionali, direte voi, ci sono sempre stati, ma una differenza col passato c'è. Oggi sono schiacciati dalla flessibilità, si sacrificano ma non costruiscono. Ai signori che hanno in mano le sorti del nostro Paese, stoicamente al lavoro in agosto, non importa. I loro problemi sono altri.
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