
Solo pochi anni fa ci scherzava su, smorzando con l'autoironia il suo ego che è secondo solo a quello di Trump: «Sono miliardario, non giovanissimo, basso ed ebreo: non potrò mai diventare presidente degli Stati Uniti». Ma ora Michael Bloomberg, che finora si era accontentato solo di fare il sindaco di New York per due mandati, alla presidenza degli Stati Uniti ci sta pensando seriamente. Tanto seriamente che ha investito una fetta non piccola del suo ingente patrimonio personale in una campagna pubblicitaria senza precedenti che sta terremotando le primarie democratiche.
I risultati già si vedono, anche se Bloomberg ha deciso di saltare i caucus dell'Iowa e le primarie del New Hampshire che si sono già tenuti, così come i caucus del Nevada e le primarie della South Carolina che invece sono attesi a giorni. Si tratta di appuntamenti importanti per la copertura mediatica che ricevono, ma irrilevanti quanto a numero di delegati. L'idea è di puntare tutte le sue chance - e la sua potenza di fuoco pubblicitaria - sul «supermartedì», il 3 marzo, in cui voteranno 14 stati con un ingente numero di delegati. Nessuno lo ha mai fatto, ma Bloomberg ci crede.
Proprio ieri l'ex sindaco è stato inserito tra i candidati del dibattito democratico del Nevada e in un sondaggio nazionale è secondo, dietro Bernie Sanders, il candidato più radicale e il vero spauracchio dei dem moderati. Quello che potrebbe spingerli a votare per un ex repubblicano come «major Mike». Tenuto conto che Trump in gioventù aveva simpatie democratiche sarebbe il massimo dell'ironia.
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