
Dovere e competenza. Il dovere di essere uniti per affrontare i problemi, pensando prima di tutto ai giovani. La competenza per trovare le soluzioni giuste in un momento così drammatico e difficile. Dovere e competenza sono forse le due parole chiave del discorso di Mario Draghi al Senato. Parole antiche e poco usate in Italia, dove si è abituati a ricordare più i diritti che i doveri. E dove la competenza non è mai andata molto di moda, tanto più in questi ultimi anni con i fautori dell’«Uno vale uno» al governo. Tutt'altro che un discorso da tecnocrate, quello del nuovo presidente del Consiglio, piuttosto un discorso politico a un Paese che attraversa una crisi profonda.
Non è un abile oratore Mario Draghi, uno di quelli che sanno emozionare, capaci di fare la pausa giusta al momento giusto per strappare l’applauso. E lo si è visto ieri a Palazzo Madama Ma il suo discorso suona come un utile richiamo alla realtà in quell’aula dove, meno di un mese fa, i destini del Paese sembravano legati al voto in extremis dei vari Ciampolillo e alla ricerca dei senatori per tenere in piedi il governo Conte. «Perché il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo», ammonisce Draghi, seppur dopo aver ringraziato il suo predecessore. Il cambio di passo rispetto a Conte è netto. Meno promesse e più impegni. Niente slogan, ma piedi per terra.
Draghi non evita i problemi, anzi spazia dai temi italiani agli scenari internazionali. E mette una serie di paletti, per indicare soprattutto ai partiti quale sarà il percorso del suo governo, la strada che vuole seguire. Prima di tutto, l’Europa e l’irreversibilità dell’euro, passaggi tutto sommato scontati per chi l’euro ha contribuito più di tutti a salvarlo. Ma che è bene ripetere. Così come la fedeltà all’atlantismo e la preoccupazione per il ruolo di Russia e Cina. Tanto per chiarire che se la politica europea non la faranno Salvini e le frange più radicali della Lega, quella estera non la decideranno Di Maio e i S Stelle. E poi le misure antipandemia da comunicare con il giusto anticipo e il piano vaccinale per cui vanno usate tutte le risorse disponibilii, privati compresi, senza bisogno di costose “primule”. Ed è l’esatto opposto di quello che hanno fatto finora Speranza, Arcuri e soci.
Ma è ancor più sulle priorità economiche e sociali che le parole di Draghi indicano un cambio di passo che c’è da sperare si trasformi in realtà. Sui giovani, ai quali il premier dedica uno dei passaggi più belli ed emozionanti di tutto il discorso, ricordando i sacrifici che fecero i nostri padri e i nostri nonni. Sulla scuola che, non solo deve recuperare il tempo perso dai ragazzi con la pandemia, ma deve ripensare il sistema dell’istruzione tecnica. Sulla parità di genere fra uomo e donna, per cui non bastano «farisaiche quote rosa». Sulla povertà, sulla riforma della giustizia, sulla tutela dell’ambiente e sulla svolta green. Sulla protezione dei «lavoratori, di tutti i lavoratori» che però – mette in chiaro il premier – non significa proteggere indifferentemente tutte le attività economiche e le aziende zombie. Draghi parla anche di riforma fiscale, rimarcando che andrebbe affidata a degli esperti e che «non è buona cosa cambiare le tasse una alla volta». Enunciazioni che potrebbero suonare come ovvietà se non fosse che è proprio quanto accade in Italia da almeno 50 anni. Dall’ultima vera riforma, non a caso citata da Draghi, quella scritta da Visentini.
Le risorse per cambiare passo e uscire da questo momento difficilissimo ci sono e arriveranno dall’Europa con il Recovery fund. Quello che rischia di fermare tutto sono le divisioni e le battaglie di bandiera di questo o di quel partito, di questa o di quella fazione. I primi segnali sono già arrivati e rischiano di moltiplicarsi nei prossimi mesi. Leader e presunti tali sono già pronti a darsi battaglia. Per questo, è il messaggio di Draghi ai partiti, il governo ha bisogno di unità, «che è un dovere e non un’opzione». Un governo per «una nuova ricostruzione», come dopo la fine dell’ultima guerra. Ma – ed è questo il problema di Draghi – alla guida dei partiti di allora c’erano personaggi come De Gasperi, Nenni e Togliatti.
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