
GEORGIA AZZALI
Pezzi di vita derubati. Farciti di commenti per strappare sorrisini malevoli e ancora più spesso giudizi impietosi. Poco dopo la fine della loro storia, le aveva servito una vendetta fatta di post tratti dal suo profilo Facebook e da alcuni siti di incontri, oltre che fotomontaggi: decine di pagine infilate in una busta e inviate a sette persone, tra amici e semplici conoscenti della donna. Una mossa che all'ex compagno - 53 anni, origini sarde - è costata l'accusa di accesso abusivo al sistema informatico, oltre che diffamazione. E ieri è arrivata la condanna: 1 anno, 2 mesi e 15 giorni. Il giudice gli ha concesso la sospensione della pena, ma solo se - come richiesto dal pm Laila Papotti - provvederà a versare 9.000 euro di risarcimento alla donna, che si era costituita parte civile.
Chi abbia lasciato chi, non è dato saperlo, anche perché Chiara (la chiameremo così) non è mai stata sentita durante il processo, perché non è stata inserita nella lista dei testimoni del processo dalla Dda di Bologna, che ha coordinato le indagini. Certo è che è stata lei, nell'aprile del 2018, a presentare la querela dopo l'arrivo del primo plico. Recapitato in un negozio poco distante dall'ufficio in cui lavorava. Tra mille imbarazzi, la titolare l'aveva chiamata e le aveva mostrato quelle fotocopie: 74 screenshot di Facebook, ma anche di Meetic e di Senza Pudore.
Il privato di Chiara, oggi 56enne, su cui da quel momento tanti potevano occhieggiare, perché altre sei persone - si scoprirà poi - riceveranno quella busta. Una collezione di immagini, tra cui anche una che ritraeva il corpo di una sconosciuta su cui era stato applicato il volto di sua figlia, una giovane ragazza. E a corredo la domanda pungente: «Ma è stata Chiara a postare la foto della figlia su Senza Pudore o la ragazza ha un suo account?». Su un sito d'incontri dove - si legge nella homepage - «puoi conoscere single spudorati della tua zona». Ma tra i commenti fatti arrivare ad amici e conoscenti c'erano anche frasi al vetriolo del tipo: «Chiara va con quello e quell'altro».
Nessun dubbio sui reati. Ma chi li ha commessi? Non ci sono certezze, secondo la difesa, che sia stato l'ex di Chiara a inviare le buste con quelle immagini disseminate di commenti diffamatori, perché nemmeno la polizia postale sarebbe riuscita a dimostrare che gli accessi informatici abusivi fossero stati fatti da lui.
Opposta la lettura dell'avvocato di parte civile, considerando anche che proprio lui sarebbe stato visto all'ufficio postale mentre spediva i plichi. Non l'uomo del mistero, ma l'ex pieno di risentimento.
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