Gup
Non si trattò del classico attacco da baby gang più o meno improvvisato, come quelli delle ultime settimane in centro. Allora ci fu anche il tramite di un diciassettenne parmigiano, che si sarebbe prestato a fare da esca per altri più grandi di lui. Fu il parmigiano a fare una telefonata alla vittima prescelta, un diciassettenne della sua cerchia, più che altro perché i presunti complici sapessero dove si trovasse. «Qui in strada, in via Anna Frank» rispose l'altro, senza nemmeno lontanamente immaginare quanto sarebbe avvenuto. Di lì a poco, il ragazzo - sempre secondo le accuse - sarebbe stato rapinato e poi sottoposto a un tentativo di estorsione. Solo la sua pronta reazione fece andare in fumo il piano della gang.
Erano i primi di ottobre del 2019, e quattro ragazzi finirono nei guai quel giorno. La posizione di uno di loro, l'allora diciassettenne parmigiano, è al vaglio del Tribunale dei minori di Bologna, altri due, entrambi albanesi e residenti in provincia, invece, sono stati rinviati a giudizio. Uno all'epoca dei fatti aveva 22 anni, mentre l'altro, il più grande del gruppetto, 24. A essere processato con rito abbreviato è stato un loro connazionale che allora era appena diventato maggiorenne. A suo carico è stata emessa una condanna a 2 anni, quattro mesi e venti giorni di reclusione e 700 euro di reclusione.
Stando alla ricostruzione degli investigatori, a presentarsi in via Anna Frank, dopo aver saputo che lì si trovava il ragazzo parmigiano da rapinare, furono il 24enne e il 22enne. Sorpresero la loro vittima alle spalle, la bloccarono e le intimarono di consegnare tutti i valori che aveva con sé. L'altro non poté opporre resistenza: si limitò a rivoltare le tasche e a mostrare il proprio iPhone. I due glielo strapparono di mano e gli intimarono di seguirlo.
I tre giunsero in via Torelli, dove si trovavano il diciottenne e il ragazzino che aveva fatto la telefonata iniziale. «Se rivuoi l'iPhone devi tirar fuori 300 euro» dissero i quattro, costringendo l'altro a salire su un'auto, per portarlo dove potesse recuperare la cifra. Il diciassettenne finse di stare al gioco, ma in realtà, anziché a ritirare i soldi, si fece condurre a casa di un'amica. Incurante delle minacce che aveva ricevuto, il ragazzo le spiegò che cosa facesse in auto con gli altri quattro, facendole dare subito l'allarme.
Roberto Longoni
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