CAPANNONI

Corrado Medioli: «La mia infanzia vissuta a due passi dai grataciel zaquè»

La fotografia è degli anni immediatamente successivi alla seconda Guerra Mondiale: Corrado Medioli, il secondo da sinistra dell’ultima fila, è con i compagni delle scuole elementari: i ragazzi dei «Capannoni» di Parma. «Io sono nato a pochi passi dai «Capannoni», in una casa di campagna, che un canale separava da quelli che chiamavamo «grataciel zaquè» (grattacieli coricati) e non so se fossi più fortunato io, che avevo il pozzo dell’acqua in cortile, ma con una casa più comoda o loro che avevano i rubinetti, ma abitavano magari in otto in due stanze».

Ha ben chiari i ricordi di 70 e passa anni fa, il maestro Medioli, rivede ancora quelle famiglie numerose, con quattro, cinque, sei figli; i genitori che campavano più che altro di espedienti e tanta, tanta miseria. «C’era una gran povertà – dice Corrado – ma rammento tanta, tanta gente per bene. I ragazzi e le ragazze venivano a scuola con me e i genitori, i famosi reduci dalle «barricate», guadagnati i pochi quattrini necessari per sopravvivere, si ritrovavano in un piccolo locale in mezzo ai «Capannoni», una sorta di osteria dove, entrando, l’unica cosa che si vedeva era una nuvola impenetrabile di fumo. E l’odore del vino. Bevevano, quegli uomini, perché quello era l’unico «divertimento» a buon prezzo, non si ubriacavano, ma almeno erano allegri per quelle ore che passavano insieme. Sì, si arrangiavano per campare: ho in mente una donnetta che vendeva frutta e verdura recuperata dagli scarti del mercato e poi ritagliata per salvare le poche parti sane. Girava in mezzo ai «Capannoni» urlando «Dôni, gh’ho il béli sciàpi!» (Donne, ho le belle fette!) Va da sé che da sciàpi noi ragazzini ricavavamo un’altra parola…».

Una comunità unita, quella dei «Capannoni», ma anche piuttosto «gelosa». Corrado ricorda la diffidenza che la gente di quel quartiere nutriva nei confronti di che venisse dal centro della città.

Ma quello dei «Capannoni» era anche un «Mondo piccolo» che sarebbe piaciuto a Guareschi: «Eravamo tutti amici, tutti molto uniti – ricorda ancora Medioli – e se qualcuno incappava in qualche disavventura, poteva sempre contare sugli altri, pronti a difenderlo. E poi ci si conosceva soltanto per «stranome»: c’era «Plata», «Cilién», la «Roson» e nessuno conosceva i veri nomi e cognomi delle famiglie: io ero «Al fiol d’la Stéla», che non era mia madre, ma la donna che abitava prima di noi in quella casa. E ai «Capannoni» si parlava il vero dialetto parmigiano e solo quello, in tutte le case. Il divertimento era il Baganza, dove andavamo tutti a giocare e a nuotare, perché la nostra piscina era il «Pontén d’la Navètta», dove c’era una sorta di «fondone» dove i più coraggiosi addirittura si tuffavano».

«C’era tanta amicizia quanta miseria e siccome il Baganza distava due-trecento metri dai «Capannoni» - prosegue - ricordo le urla delle madri che, a un certo orario richiamavano i figli per cena. Le sentivamo da quella distanza. A volte, mi sembra di sentirle ancora e di vedere qualcuno di quei bambini che, oggi, è un affermato professionista, un bravissimo artigiano o un musicista, come me».

Egidio Bandini