Margherita Portelli
Il continente nero dalla a alla zeta non è semplice da racchiudere in 112 pagine. Ecco perché «Sui banchi della passione. Alfabeto dell’Africa» è un traguardo ma anche un punto di partenza.
Il libro edito da Imprimenda, e presentato martedì sera nella casa dei missionari saveriani di Parma, raccoglie i primi ventiquattro articoli scritti da Filippo Ivardi Ganapini (dapprima sul sito d’informazione domani.arcoiris.tv, e poi sull’apposito blog alfabetoafrica.com).
Il trentottenne parmigiano è un missionario comboniano ordinato prete lo scorso anno, che dal 2009 è in missione a Moissala, in Ciad, dopo diversi anni passati in America Latina. «Filippo ha cominciato a inviarci bellissime testimonianze dall’Africa - lo ha introdotto Maurizio Chierici, giornalista de “Il fatto quotidiano”, già direttore della rivista online su cui don Filippo pubblicò i primi articoli -: è difficile ricostruire i cambiamenti di un Paese vivendoli da fuori, e i missionari sono punti sensibili, perché a differenza dei giornalisti inviati, non guardano, ma condividono». Nel vocabolario della lingua del Ciad, ha spiegato l’autore chiacchierando con Laura Caffagnini e Diletta Pignedoli - laureata in Storia che ha collaborato con lui per uno degli articoli del libro - non esiste la parola «superfluo». Perché di superfluo, in Africa, non c’è nulla. Esistono, però, le parole «schiavitù» (ancora presente sotto diverse forme), la parola «profughi» (radunati nei campi a migliaia) e la parola «sfruttamento» (si stima che 35 milioni di ettari di terra in Africa siano stati comprati da grandi potenze estere, soprattutto multinazionali).
Ma tra le tante parole, ce n’è una che dovremmo imparare: «speranza». Quella legata a un’incredibile forza che contraddistingue le popolazioni, permettendo loro di andare avanti, sempre. «A pubblicare questo libro abbiamo fatto fatica - ha spiegato don Ganapini, che ama farsi chiamare semplicemente Filo -: molte case editrici ci hanno detto che l’Africa “non tira”. Ma è fondamentale, nel nostro mondo interculturale, cominciare a conoscerci, tentare di capire le situazioni che caratterizzano le “tante afriche” che formano il continente».
«Il missionario - continua padre Filippo - deve cercare di immergersi nella realtà che vive, perché prima di statistiche e numeri ci sono volti e persone: il missionario deve essere un curioso, sentirsi un po’ antropologo, e, soprattutto, divenire amico». Il libro, che ha un costo di 7 euro, si può trovare alla libreria Fiaccadori.
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