Arte-Cultura
Restauro di un automa ottocentesco e illusioni di una donna distrutta
19 Settembre 2013 - 17:42
Anna Folli
L’edizione 1913 del festival «Pordenonelegge» è una delle più ricche e interessanti degli ultimi anni. A caratterizzarla una grande attenzione agli autori internazionali, dai britannici Martin Amis e John Banville agli spagnoli Arturo Pérez-Reverte e Indefonso Falcones, dal cinese Yan Lianke al danese Jussi Adler-Olsen. Ma una particolare attesa è riservata al più celebre scrittore australiano vivente: Peter Carey, da anni candidato al Nobel per le sue opere a metà tra fiction e romanzo storico.
L’autore di «Oscar e Lucinda», «La ballata di Ned Kelly» e «Parrot e Olivier in America» è l’unico scrittore insieme a J. M. Coetzee e Hilary Mantel ad avere ottenuto per due volte il più prestigioso premio in lingua inglese: il Booker Prize. A Pordenone, domenica alle 15,30, Carey presenterà «La chimica delle lacrime» (Bompiani) dove ancora una volta dà prova della sua maestria stilistica e della capacità di proiettare situazioni e personaggi in una dimensione fantastica. Voci narranti del suo dodicesimo romanzo sono quelle di un uomo e una donna: la prima, Catherine Gehrig, vive nella Londra contemporanea ed è un’affascinante conservatrice dello Swinburne, il museo londinese specializzato in antichi meccanismi e macchinari. A farle da contraltare un personaggio che impariamo a conoscere attraverso il suo diario: Henry Brandling è un ricco signore vissuto a metà dell’Ottocento che, in un viaggio insieme metaforico e reale, decide di lasciare l’Inghilterra per raggiungere un villaggio della Foresta Nera.
A unire i due protagonisti, così lontani nel tempo e nelle esperienze esistenziali, è il comune senso della perdita. In un folgorante esordio Catherine apprende che il suo compagno, Matthew, curatore di un reparto del Museo, è morto improvvisamente. Per lei è un colpo devastante, aggravato dal fatto che, ad eccezione di Eric Crofty, il migliore amico di Matthew e capo di Catherine, nessuno sa della loro relazione. Lei, che ha realmente amato Matthew e ne è stata riamata appassionatamente, è soltanto «l’altra», senza nemmeno il diritto di piangere e di essere consolata. Esiste invece una vedova che è libera di dare sfogo al proprio dolore. Per scuoterla, Eric assegna a Catherine un progetto delicato e impegnativo: ricomporre e «riportare alla vita» un prezioso automa che risale all’epoca vittoriana. E nonostante la prima reazione di Catherine sia una totale ripulsa, la lettura del diario di Henry Brandling, il committente dell’automa, riesce gradualmente a coinvolgerla e a spingerla a iniziare il lavoro. Tra una manciata di tranquillanti e troppe bottiglie di vodka gelata, Catherine si immerge nella lettura e apprende che a spingere Brandling a costruire l’automa è stata una promessa al figlio gravemente malato: per lui vuole costruire uno straordinario giocattolo semovente, la riproduzione di un’anatra meccanica in grado di mangiare e digerire, uguale a quella costruita dal famoso inventore illuminista Jacques de Vaucanson.
«La chimica delle lacrime» non è certamente un thriller ma sarebbe un peccato rivelarne il finale. Non diremo se Catherine ed Henry vinceranno la sfida di riuscire, con un oggetto, a imitare la vita. «Il bello di essere romanzieri - sostiene Carey - è avere il privilegio di reinventare la realtà, plasmandola come si fa con la creta».
La chimica delle lacrime
Bompiani, pag. 312, euro 18,00
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