Mariagrazia Villa
Snap, in inglese, non significa solo istantanea. Significa anche schianto, colpo secco. Un suono da poesia ermetica, che si spezza con nettezza. Che contempla tutto in un istante. Ecco perché Daniele Romano, il giovane Holden della fotografia italiana, ha scelto il sottotitolo «Snaps», per la sua mostra «Sri Lanka» al TCafè di Parma (Strada Duomo, 7).
Sono immagini, quelle che resteranno esposte dal 21 dicembre fino all’8 gennaio - otto foto grandi, come finestre aperte sul paese asiatico, e una quarantina di «cartoline» a restituirne piccoli tocchi d’affresco, che fanno parte di un reportage in uscita sul prossimo numero di «Panorama Travel» -, che rompono il frastuono d’ogni atomo fisico e mentale con il silenzio. Un’esperienza meditativa. Un tuffo improvviso nelle profondità percettive: un’immersione da cui si risale con perle di maggior saggezza. L’artista lombardo, ma parmigiano per caso, collaboratore del nostro giornale e di diverse riviste nazionali, non cerca mai una costruzione ad arte, un assunto di partenza, un obiettivo generatore.
Scopre sempre e solo se stesso in mezzo al mondo. In tempo reale, e per il tempo che la scoperta concede. «Sono scatti trovati, non c'è niente di costruito», racconta Daniele, fortunato catturatore d’istanti. «La mostra nasce come un viaggio di lavoro e le immagini sono appunti di viaggio. Derivano dalla voglia di far vedere un paese, conosciuto qui da noi dopo il tragico evento dello Tsunami. Non nascono con l’idea del reportage, ma con quella di dare delle pennellate positive di un paese positivo, nonostante le mille difficoltà. Un paese di gente semplice, sorridente, disponibile, ospitale. Ovunque si respira grande pace e spiritualità, e credo che dalle foto questo aspetto venga fuori. Un viaggio che restituisce sensazioni e valori, che qua abbiamo un po' dimenticato e che, invece, dovremmo riscoprire...». Sì, queste istantanee sono il benefico geyser della vita, quella che scorre potente e intonsa sotto le rocce delle nostre giornate: spara verso l’alto un’energia al di sopra dell’ottundimento, dell’indifferenza, dell’abitudine. Racconta di una possibilità, che è di tutti, anche se in pochi se la giocano. Non fotografa il divenire, ma l’essere. Immobile, equanime da desideri e avversioni, illuminato. Ecco, allora, il monaco buddhista sdraiato su un rovente muro, in un meriggiare pallido e sereno: anche il ramo della pianta si accorda alla sua beatitudine. O quello con la valigetta da ufficio, alla fermata del bus: l’intorno sfreccia e lui attende con calma antica. Ecco gli occhi pieni di futuro dei bambini, che profumano ancora di legna da ardere, e quelli dei vecchi, che brillano e magnetizzano l’aria. E i piedi che osservano il mondo, in un giorno rigato di pioggia, e l’annusano con dolcezza.
Ecco, l’uomo ritto contro l’orizzonte, gonna gonfia di vento e sigaretta in mano: consapevole del maremoto, guarda la rinascita. O il ragazzo con la maglietta «Work hard, play hard» davanti alla colossale statua del Buddha: materia d’Occidente, estasi d’Oriente. Lo Sri Lanka è veramente l’isola risplendente, come vuole il nome sanscrito.
E Daniele non si chiede, come Holden, dove vadano le anatre di Central Park in inverno. Si chiede dove vada il senso delle cose, quando tutti sembrano pattinare noncuranti.
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