di Andrea Grignaffini
Parma e Brescia sempre più legate nella vita quotidiana ma ancora divise da una storia gastronomica ben più distante del centinaio di chilometri che separa le due città.
Cerchiamo allora di conoscere un piatto bandiera della provincia lombarda, un must per i più impenitenti leccardi: lo spiedo bresciano. La sua storia si perde nella notte dei tempi quando gli uomini muniti di un’asta di ferro acuminata cacciavano le prede le infilzavano e le cuocevano all’aperto al calore di un fuoco a legna.
I Romani usavano cuocere carni e pesci abbrustolendoli sulle braci e accompagnandole con salse come il garum ottenuto da pesce fermentato. I Greci consumavano carni anche di grossa pezzatura allo spiedo, previa lessatura e servite con salse dolci. Questa pratica prevalse anche nel Medioevo a discapito delle cotture al forno: se l’animale era di taglia grossa si lessava prima di infilzarlo allo spiedo, cultura questa che la ritroviamo in tutta l’Europa specialmente in Inghilterra e in Francia. Lo stesso Leonardo da Vinci inventò un fantasmagorico spiedo automatico composto da un’elica che girava mossa dal calore e dal fumo per sollevare i giovani di cucina dall’incombenza di continuare a girare grandi spiedi.
In Italia cucinare allo spiedo ha trovato terreno fertile in diverse provincie, in particolare nel bresciano vuoi per il territorio ricco di animali da penna vuoi per la cultura armiera sviluppatasi in queste zone dedite all’estrazione del ferro, in particolare in Valtrompia e Valle Sabbia. Essendo questo territorio ricco non solo di boschi, ma anche di laghi, torrenti, rogge, la pesca insieme alla caccia ha sfamato per secoli queste popolazioni. Questa consuetudine di cottura allo spiedo ha inciso molto sulla cucina tradizionale di alcune valli bresciane diventandone un vero cult nella preparazione di varie tipologie di uccelli: i più piccoli dal becco gentile, tordi, allodole, fringuelli e quelli di pezzatura più grossa. Oggi le nuove normative comunitarie hanno molto ristretto il campo alla tradizione tipicamente bresciana di cuocere allo spiedo gli uccelletti di cui è anche vietata la caccia. Va detto che facendo un po’ di storia della golosità culinaria i migliori erano il pettirosso, il fringuello, l’allodola, il codirosso, la peppola, il bottaccio, la quaglia e il merlo; tutte carni particolarmente saporite e tenere. Ora un breve passaggio alla preparazione di un ottimo spiedato. Partiamo dai condimenti: un tempo solo burro oggi qualcuno inserisce anche olio. La brace può essere di carbone o di legna, vite, olivo, rovere, nocciolo e la combustione lenta e
senza fiamma per ottenere braci roventi vicino alle quali sfrigola lo spiedo.
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