Errica Tamani
C'è panino e panino. Basta poco per farne uno buono; ma ci vuole ancora meno per ottenere un risultato negativo. La lezione di base è orami la solita: scelta accurata e freschezza delle materie prime. Poi, per giocare in difesa, pochi elementi ben dosati riducono i rischi di insuccesso. Chi invece osa nel segno della concomitanza di molteplici ingredienti complica il risultato finale della perfomance se non calibra i pesi e non valuta le proporzioni o il volume complessivo, se non tiene conto delle consistenze in gioco e delle interazioni gustative che si determinano nell’incontro di certi prodotti. Che approntare un buon panino finisca per sembrare un lavoro a metà tra il piccolo chimico e l’architetto-ingegnere? Forse è eccessivo. Comunque sta di fatto che il buon senso serve per tutto, anche per realizzare tramezzini. Così come è vero che fare un panino può essere ben più di un semplice assemblaggio: può essere un’operazione «artistica». Lo sanno bene all’Ottimo Massimo di Milano (una delle città in cui prendono corpo le tendenze), locale di successo (www.ottimomassimogourmet.it) a pochi passi dal Duomo (in via Victor Hugo) che punta tra l’altro sui panini «gourmet» a base di materie prime selezionate, tipiche del patrimonio gastronomico italiano. Un nome evocativo «Ottimo Massimo», quello del bassotto di Cosimo, il protagonista de «Il Barone Rampante» di Italo Calvino, che sceglie di vivere sugli alberi sin da bambino. Il luogo (con albero di castagno inserito nella struttura interna) del panino gourmet diventa emblema di una pausa relax e di ritrovato piacere nel mangiare anche il classico spuntino veloce. Il salto di sapore poi è affidato a un’iniziativa che da marzo a dicembre 2013, propone mese dopo mese un panino d’autore, concepito da chef stellati. Qualche assaggio (da provare anche a casa)? A
marzo è andato in scena quello firmato da Paolo Barrale, chef del Marennà di Feudi San Gregorio (gli ingredienti: 1 panino arabo; 30 g di baccalà; 20 g di cavolfiore; 10 g di maionese; 5 g di peperone piquillo; 10 g di capperi; 1 filetto d’acciuga; 5 g di olive verdi e nere; 1 foglia di scarola; extravergine, sale e pepe. Si monta con olio d’oliva, sale e pepe il baccalà cotto a bassa temperatura (65° C) per creare una salsa morbida. Si arrostisce il peperone, si leva la pelle e si sbollenta il cavolfiore. Si taglia il pane in due, si spalma la maionese su una fetta, si unisce la crema di baccalà, poi la scarola, i capperi, il cavolfiore e i peperoni, l’acciuga e le olive). In aprile c’era il panino di Felice Lo Basso, chef dell’Alpenroyal di Selva Alta di Val Gardena, un francesino farcito con la raffinata ventresca di tonno, asparagi verdi, pomodoro camone, mozzarella di bufala affumicata, polvere di olive nere ed extravergine. A maggio, il panino di Francesco Apreda, chef dell’Hassler di Roma: una focaccia farcita di mozzarella fior di latte e lattuga romana, con frittata bianca ai fiori di zucchina, crema di acciughe, pesto di fave, blend di pepe e sesamo. Gli altri mesi? Prima Aprea o Palluda? Niederkofler o Morelli? Cucchelli o Scarallo?
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