I dati delle operazioni finanziarie della «vecchia» Parmalat, come l’emissione di bond, o non venivano comunicati al mercato o venivano presentati «per farli apparire sotto la migliore luce possibile, offrendo il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto», dopo aver concertato la strategia di comunicazione con le banche.
Lo ha spiegato l’ex direttore finanziario del gruppo di Collecchio, Alberto Ferraris, sentito come teste nel processo milanese per il crac del 2003. Nel processo sono imputati Deutsche Bank, Citigroup, Bank of America e Morgan Stanley Milan Branch, e alcuni loro ex dipendenti accusati di aggiotaggio.
«Il problema - ha chiarito Ferraris, che ha già patteggiato una pena di un anno e mezzo nel 2005 - era che il mercato non poteva accettare che Parmalat stampasse bond di continuo». Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Francesco Greco e dei pm Eugenio Fusco e Carlo Nocerino, Ferraris ha confermato le dichiarazioni da lui rese negli interrogatori in fase d’indagine. Ha ammesso che i dati forniti al mercato da Parmalat erano «diversi dalla realtà» per quanto riguardava il prezzo di emissione, la struttura dell’operazione e lo spread.
Ferraris, che ha spiegato di aver «assunto la carica con leggerezza, senza fare i controlli necessari», ha confermato anche l'esistenza di un piano generale per le informative al mercato e l'occultamento dei dati concertato con le banche. «I comunicati - ha aggiunto - erano redatti in modo da presentare l’operazione nella miglior luce possibile».
Il processo milanese per il crac Parmalat proseguirà il 6 maggio.
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