di Giuliano Molossi
Si fa fatica a credere che una truffa colossale come quella di Parmalat che ha lasciato un buco da 14 miliardi di euro sia stata architettata e messa in pratica in uno stanzino di Collecchio da Calisto Tanzi e un paio di ragionieri, senza la connivenza delle banche. Non c'è dubbio che le responsabilità del patron siano maggiori di quelle di tutti gli altri, ma è difficile immaginare che quest'uomo, da solo, abbia combinato un disastro finanziario di questa portata.
La sentenza di Milano può apparire sconcertante. Ma non vanno dimenticate un paio di cose. La prima: su 29 imputati, almeno una ventina hanno scelto di patteggiare per non affrontare il processo. La seconda: per una delle posizioni principali, quella di Bank of America, è stata riconosciuta la prescrizione ma questo non potrà avvenire nel processo di Parma in quanto la bancarotta fraudolenta è un reato molto più grave dell'aggiotaggio. Nonostante ciò, da Milano escono con le ossa rotte almeno in tre: la difesa di Tanzi, il pubblico ministero e l'esercito dei 40 mila risparmiatori obbligazionisti che si erano costituiti in giudizio. Fra questi c'è gente che aveva investito in Parmalat i risparmi di una vita e che da un giorno all'altro, nel dicembre di cinque anni fa, si ritrovò in mano un mucchio di carta straccia.
Colpa solo di Tanzi o anche delle banche che fino all'ultimo raccomandavano di puntare sui titoli dell'azienda di Collecchio?
Colpa solo di Tanzi e del suo scanner con il quale creò dal nulla, insieme al suo stretto collaboratore «mago della finanza creativa», un tesoro di 4 miliardi di euro su un conto alle isole Cayman per dimostrare di avere una liquidità che in realtà non esisteva? Ma davvero possiamo credere che sia stato così geniale da fregare tutti? Banche, Consob, finanzieri, revisori pagati per vigilare? Che veramente nessuno abbia mai avuto il minimo sospetto che la situazione non fosse così rosea come sembrava?
Se non avesse avuto manie di grandezza, se non si fosse ostinato a coltivare quel sogno impossibile del quale ha parlato al processo, Calisto Tanzi avrebbe potuto salvare la sua azienda (che dal punto di vista industriale è stata sempre sana) molti anni prima del crac. Ma dopo, quando era ormai troppo tardi per fermarsi, per arrendersi, per ammettere di aver fallito, Tanzi, sempre più indebitato e di conseguenza sempre più debole, è diventato un ostaggio in mano alle banche. E da alcuni banchieri probabilmente è stato usato e ricattato. Ma questa circostanza, naturalmente tutta da provare, forse non poteva emergere da un processo per aggiotaggio. Da oggi i riflettori si spostano su Parma.
Sulla Gazzetta di Parma oggi in edicola due pagine con le reazioni alla sentenza milanese - L'ex patron: "Sono sorpreso: pena troppo alta per le mie colpe" - I risparmiatori: "Condanna inadeguata" - I parmigiani: "Un solo responsabile? Impossibile"
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Luigi
21 Dicembre @ 14.55
..No comment...Silingardi ha detto che crede nella giustizia e qualcuno che lo ha invischiato nella "palude" (vedi intervista su G.d P. Venerdi 19) si deve vergognare....non c'e'limite all'indecenza umana!!! ...va anche in Chiesa a pregare...anche stamane ho cercato di parlare a messa con il buon Dio ma noto continuamente che ci vede poco...almeno li facesse tacere per rispetto degli onesti e puliti d'animo!!!
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