«Non volevo fare del male e non ho mai usato violenza nei confronti dei bambini: loro mi vogliono bene». Poche parole davanti al giudice, lunedì mattina. E' la «verità» di Erica Grandis: dichiarazioni spontanee, prima di chiudersi nel silenzio. Di far mettere a verbale la sua decisione di avvalersi della facoltà di non rispondere, come prevede la legge.
Evita il fuoco di domande dell'interrogatorio di garanzia e cerca di allontanare da sé l'onta della colpa. Ma quella frase abbozzata davanti al giudice, come in un paradossale effetto boomerang, richiama alla memoria le immagini dei filmati: quei fotogrammi che hanno cristallizzato schiaffi, calci, strattonate. Agli atti ci sono poi le trascrizioni degli insulti carpiti dalle «cimici» piazzate nella sala del nido: parole come «coglioni, mongoli, bestie» urlate a bambini tra i due e tre anni.
«Loro mi vogliono bene»: stridente, quell'affermazione. Ancora di più, se si pensa che anche tre anni fa la Grandis, ai domiciliari da venerdì, avrebbe avuto analoghi atteggiamenti violenti nei confronti dei bambini del nido Allende. E' quanto scritto nel capo d'imputazione: i maltrattamenti di cui è accusata sono riferiti sia allo scorso giugno che all'ottobre 2012. A parlare di quel primo periodo, è stata infatti la dipendente del nido che ha denunciato la Grandis, mettendo a verbale una serie di episodi che sarebbero avvenuti in quell'autunno di tre anni fa.
Una ricostruzione che potrebbe aggravare la posizione dell'educatrice, ma è chiaro che non ha la solidità delle prove fornite dai fotogrammi dello scorso giugno. Tre anni fa non c'era alcun occhio segreto tra le pareti del nido. Solo dopo che la collega della Grandis si è presentata a fare denuncia, le telecamere hanno cominciato a riprendere ciò che nessuno avrebbe mai voluto vedere. G. Az.
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Biffo
01 Ottobre @ 17.40
Excusatio non petita , accusatio manifesta, magistra mea!
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