E' disperata Kaouthar Sahli, trentatreenne tunisina che abita a Salso da dieci anni, da marzo 2011 non ha più notizie del fratello Zied Sahli, 28 anni. Il giovane doveva raggiungerla in città: è sbarcato a Lampedusa il 15 marzo scorso con altri 560 profughi tunisini spariti nel nulla. Fra i desaparecidos, anche i cugini Tarek Hadj Salem e Derbeli Walid, 25 e 32 anni, che dovevano arrivare sempre nel Parmense, a Mezzani. I familiari dei giovani, divisi fra il Parmense e l’Africa, hanno perso da marzo ogni traccia. Kaouthar Sahli, che abita in città, in via IV Novembre 12, sposata da un anno, lavora come operaia alla Barilla, a Parma. Da dieci anni vive a Salso, dove si sente perfettamente integrata. «Mio fratello ha lasciato la nostra terra il 14 marzo dello scorso anno – racconta Kaouthar – ed è sbarcato a Lampedusa il giorno successivo. Di questo siamo certi, in quanto alcuni fotogrammi delle telecamere lo hanno ripreso nitidamente a Lampedusa, insieme ad altri. Zied poi doveva essere stato accompagnato in un centro di accoglienza. Alcuni connazionali, dopo la nostra denuncia di scomparsa, ci hanno riferito di averlo visto sino al 19 marzo. Ero così contenta quando ho ricevuto la sua telefonata che sarebbe arrivato qui da me, ma poi il buio totale». «Ho tentato più volte di mettermi in contatto con quel numero, ma risulta inesorabilmente staccato». Kaouthar, con la voce rotta dal pianto, racconta che sono in tre sorelle e Zied era l’unico adorato fratello maschio, il «cocco» di casa. «Nè io né i miei familiari in Tunisia – ha continuato a raccontare – abbiamo più ricevuto notizie da allora. Solo mia madre riceve ogni tanto qualche telefonata da un numero anonimo, ma quando lei risponde, dall’altro capo non si sente nessuno. Siamo molto preoccupati, perchè non si può sparire così, nel nulla. Zied amava il calcio e voleva venire in Italia per avere un futuro migliore. Mio fratello si è sempre rimboccato le maniche per mantenersi e in Tunisia sbarcava il lunario con lavoretti saltuari, per non gravare sul bilancio familiare». Dopo dieci mesi di inferno, le famiglie dei giovani dispersi e anche Amnesty International si sono rivolti a Rebecca Kraiem, dell’associazione tunisina «Giuseppe Verdi» di Parma, per chiedere aiuto. E la donna ha deciso di impegnarsi nella ricerca dei nuovi desaparecidos, rivolgendosi all’Ambasciata tunisina in Italia a Roma e ha incontrato anche un funzionario del Ministero, chiedendo di avere informazioni e rassicurazioni sulla sorte dei giovani. Quello che si teme è che i giovani tunisini abbiano fornito nominativi falsi, per la paura di essere rimpatriati. «Abbiamo piena fiducia nelle istituzioni – ha aggiunto Rebecca Kraiem - ma ci spaventa la burocrazia di entrambe le nazioni. Non possiamo abbandondare i familiari di questi giovani, che vogliono risposte e soprattutto sentirsi dire che i ragazzi sono vivi e stanno bene».
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