Mara Pedrabissi
Saluterà l'anno nuovo nelle sale cinematografiche con accento brianzolo, esigenze di copione. Fabrizio Gifuni, da sempre nel girone degli attori «belliebravi», è nel cast stellato (Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi, Luigi Lo Cascio) del nuovo film di Paolo Virzì, «Il capitale umano», primo approdo al thriller del regista toscano, in uscita il 9 gennaio. L'attore romano, intanto, macina chilometri sulle assi dei palcoscenici italiani: fino a domani sarà alla Pergola di Firenze per arrivare poi, venerdì e sabato prossimi, al Teatro al Parco di Parma, con un classico della contemporaneità, «’Na specie di cadavere lunghissimo», nato nel 2004 per la regia del nostro Giuseppe Bertolucci, in cui dà voce all’ultimo Pasolini. Un monologo composto da due scene, un dialogo a distanza tra figure antinomiche, padre e figlio, vittima e carnefice.
Partiamo da qui, Fabrizio Gifuni, come è nato questo spettacolo?
«Da una doppia spinta. Da un lato sentivo il disagio, il malessere dei tempi in cui eravamo precipitati; dall'altro c'era la forza propositiva del mio amore verso Pasolini che mi aveva portato a concentrarmi su alcuni testi non teatrali, gli "Scritti corsari", le "Lettere luterane", "Siamo tutti in pericolo", "La nuova forma della meglio gioventù", "Abbozzo di sceneggiatura per un film su San Paolo" oltre a quel formidabile poemetto che è “Il Pecora” in cui Giorgio Somalvico, immagina il delirio di chi ha tolto la vita a Pasolini».
Due spinte contrapposte...
«Sì. Chi meglio di Pasolini incarna il senso di opposto, di contrario? Tutta la sua opera è giocata sul doppio e il doppio è il tema dello spettacolo»
Lei gode di un osservatorio privilegiato: come è cambiato il pubblico?
«Ogni spettacolo è di per sé un organismo mobile, vivente. Si fa ogni sera insieme agli sguardi, ai pensieri, ai corpi, ai campi magnetici del pubblico che è un campione della comunità. Ecco, ho la sensazione che in 10 anni questo Paese si sia incattivito molto, che si sia acuita una frattura tra due fronti contrapposti, ora tre perché è montato anche il fronte della protesta. Avverto una minore capacità di ascolto rispetto alle parole di Pasolini. Certe parole creano un pavloviano riflesso di irrigidimento»
Quali parole fanno irrigidire?
«Fascismo, Democrazia Cristiana, piccolo borghese... C'è chi sta da una parte o dall'altra. Immediatamente. Poi nel corso dello spettacolo si arriva alla distensione. Le parole urticanti di Pasolini continuano a produrre - ed è questo il bello - una disperata vitalità»
Lei frequenta e conosce da tempo il pubblico di Parma. Come lo trova?
«E' un pubblico che ha un rapporto molto vivo con il teatro. Qui ci sono storicamente realtà consolidate, nella lirica e nella musica, nella prosa, nella ricerca. Teatro al Parco e Teatro Due sono un patrimonio»
L'abbiamo lasciato in fondo, meritando un posto speciale: Giuseppe Bertolucci
«E' stato l'artista più libero che abbia mai conosciuto. Ho avuto la fortuna di lavorare con lui per 10 anni indimenticabili fatti di gioia, serenità, passione, con l'unico obiettivo di fare bene le cose insieme»
Quando parla, sceglie accuratamente le parole. E' morto Nelson Mandela: quali parole gli dedicherebbe?
«Coraggio, pazienza, luce negli occhi».
Biglietti. Intero: 13 euro, ridotto: 11, under 18: 6 euro, in vendita da domani alla Feltrinelli di via Farini. Al Teatro al Parco da martedì a venerdì dalle 10.30 alle 14.30, il giovedì dalle 10.30 alle 17, online sul sito www.solaresdellearti.it/teatrodellebriciole. Tel 0521 989430.
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