«Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune», scrisse Sandro Penna. E proprio «Felice chi è diverso» s’intitola il film documentario che Gianni Amelio presenta stasera alle 21,15 al Cinema Edison: un viaggio in cui il regista del «Ladro di bambini» racconta l’omosessualità in Italia nel Novecento attraverso le testimonianze di chi la diversità l’ha vissuta sulla propria pelle.
Amelio, perché Sandro Penna?
«Perché da poeta e da uomo libero riusciva a dire cose anche impopolari ma profondamente vere. La diversità non è un valore in sé, ma diventa un valore solo se consapevolmente vissuta in un certo modo: perché essere diverso senza far leva sulla propria diversità per renderla qualcosa di positivo può diventare una trappola, una specie di autocondanna».
Accanto alle testimonianze, nel film, c’è materiale di repertorio.
«Sì, volevo mettere a fronte la vita privata di queste persone con quello che dell’omosessualità hanno detto i mezzi di comunicazione del tempo. Il film riguarda il dopoguerra, e soprattutto gli anni Cinquanta e Sessanta: allora di omosessualità si parlava poco, e quando lo si faceva era in un modo che dire spregiativo è un eufemismo, e con una violenza verbale a dir poco intollerabile. Basti pensare a come sono stati sbeffeggiati coloro che erano sospettati di omosessualità. Mi ha colpito molto il caso di Umberto Bindi, la cui carriera è stata totalmente compromessa perché sospettato di essere un diverso. C’è invece chi ha avuto la forza di far leva su questa diversità per renderla creatività: è il caso di Paolo Poli, che giganteggia nel film».
Dietro ogni «intervista» si sente un lavoro di scavo.
«Non sono interviste, sono racconti di vita: sono persone che raccontano episodi legati al fatto di essere omosessuali. C’è stata libertà da parte mia verso di loro e viceversa: non si sentivano assillati da un cronista pettegolo, hanno trovato qualcuno che voleva ascoltare e basta. Vorrei che soprattutto i giovani ascoltassero le voci di quelli che sono stati perseguitati, in modo assolutamente ingiusto: perché la società omofobica non è mai morta, e ancora oggi non lo è. Se leggo che un ragazzo di 14 anni si è buttato dalla finestra perché deriso a scuola penso che nonostante tutto, nonostante i progressi e i gay pride, c’è ancora tanta strada da fare».
È soddisfatto dei riscontri avuti finora?
«Il cammino del film di fatto non è ancora iniziato. È un film destinato alla tv e al dvd, e a una visione capillare nelle scuole e oso dire anche nelle chiese, se ci sono ancora le sale parrocchiali. Quelli sono i luoghi adatti per un film come questo, destinato a svegliare certe coscienze, forse, anche da parte cattolica. Abbiamo la fortuna di avere un Papa importante, che già qualcosa ha detto e ha fatto: ecco, dovrebbe continuare a farlo, visto che quando le cose arrivano da un certo pulpito sono più ascoltate».
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