«Uccidere» il proprio io per rinascere altro da sè: per mostrare davvero - finalmente -, la faccia dietro la maschera, quello (e solo quello) che ci si sente realmente di essere. Nel nome di un amore che travalica i generi, le convenzioni, i condizionamenti: e si scopre molto più forte dell'estenuante conflitto tra maschile e femminile. Nell'inferno dell'identità - dove desiderare una nuova vita può significare persino perdere l'unica che si ha - l'autodeterminazione come atto rivoluzionario: applausi a Venezia a «The danish girl», il film di Tom Hooper («Il discorso del re») che abbraccia con delicatezza un personaggio straordinario, quello del pittore Einar Wegener o per meglio dire Lili Elbe, il primo uomo che (nei lontani anni '30) diventò donna. E venne accompagnato e sostenuto con devozione nella sua trasformazione dalla moglie. Una pellicola interessante, destinata a fare discutere, che affronta con garbo temi difficili e ancora modernissimi (la confusione sessuale, l'impossibilità, drammatica, di essere se stessi), anche se un po' illustrativa dal punto di vista stilistico, con un taglio ben più convenzionale rispetto agli argomenti e ai sentimenti che mette in gioco.
Una storia di coraggio e di passione, «The danish girl», che l'autore carica soprattutto sulle spalle dei due strepitosi protagonisti, il premio Oscar (lo ha vinto a febbraio per «La teoria del tutto») Eddie Redmayne e la lanciatissima (a star is born...) Alicia Vikander.
«Non è stato facile trasformarsi in una donna - ammette Redmayne -, ma potere recitare la parte di Lili per me era un sogno che si realizzava. E' da tanto che volevo fare questo film, è la miglior sceneggiatura che abbia mai letto: mi ha colpito enormemente il coraggio di questa persona e la sua incredibile storia d'amore con la moglie. Per calarmi nel ruolo ho capito subito che avrei dovuto chiedere aiuto alla comunità transgender: e così ho fatto. Ho incontrato sia uomini che donne, giovani e più anziani: la loro gentilezza e comprensione sono state straordinarie. In particolare mi ha aiutato una coppia di Los Angeles, marito e moglie: anche lui a un certo punto della sua vita, come il mio personaggio, aveva deciso di diventare una donna. E mi ha spiegato che avrebbe dato tutto per essere finalmente se stesso. Mi hanno permesso di chiedergli qualsiasi cosa, il loro sostegno mi ha galvanizzato».
E gli ha permesso di cogliere le sfumature di «un processo profondo - come spiega Hooper (accompagnato a Venezia anche dagli altri interpreti, Matthias Schoenaerts e Amber Heard) -, quel lento rivelarsi in Einar della donna che aveva dentro di sè. Ha avuto un coraggio straordinario nell'ascoltare quella voce e nel combattere per riuscire a diventare quello che davvero si sentiva di essere». Dal tempo di Lili sono passati oltre 80 anni, ma il problema dell'inclusione sociale, dell'accettazione dei trans resta molto attuale: «Viviamo in un mondo molto diviso - continua il regista -, basta vedere quello che accade oggi in Europa con i profughi. Il mio film parla proprio di questo: dell'inclusione che è resa possibile solo dall'amore». Quello di un amico che non ti volta le spalle, quello di una moglie che decide di restare tale: «Gerda, la moglie di Einar, è una persona incredibile - afferma la Vikander -: è una donna in grado di amare qualcun altro più di se stessa. L'ammiro, vorrei avere un po' di lei in me».
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