Giacomo Marzi
Kurt Rosenwinkel mette la parola fine, Frank Tiberi gli dà la replica: si conclude così la prima edizione del Parma Jazz Festival, una rassegna che promette di diventare grande assieme alla passione per il jazz di una città come Parma; fino ad oggi, a dire il vero, un po' digiuna di grande musica afro-americana.
Kurt Rosenwinkel apre, dicevamo, questa ultima serata di fronte ad un Teatro al Parco quasi sold out, ed il pubblico attento e plaudente segue questo vero e proprio funambolo della chitarra jazz, accompagnato da contrabbasso e batteria (strumenti affidati rispettivamente a Charles Reeves e Cedric Scott) in quello che è forse (a livello puramente tecnico e virtuosistico) il più grande gruppo della rassegna. Rosenwinkel possiede una padronanza dello strumento più che straordinaria: le linee solistiche si distinguono chiaramente anche alle velocità più estreme (velocità a cui il chitarrista americano arriva forse fin troppo volentieri) grazie ad un legato holdsworthiano perfetto che però non concede spazi alla fusion e nemmeno al blues più ammicante.
Rosenwinkel è un jazzista purissimo, i suoi fraseggi affondano le loro radici nel bebop trombettistico e in John Coltrane. Tutto questo si può notare nella curiosa versione afro-tumbao di «Invitation», o nel fast «Backup», oppure ancora in ballads monkiane che Rosenwinkel alterna in bruschi cambi d’atmosfera che evidenziano una certa enciclopedicità nel saper gestire le varie situazioni pur rimanendo sempre personale e riconoscibile.
Frank Tiberi conclude la serata con una sorta di selection dalla sua Woody Herman Orchestra: la Four Brothers Band vuole rievocare il grande affiatamento che legava i tre saxofoni tenori ed il baritono che animavano e rendevano unico il sound di quella Woody Herman Orchestra che ha fatto negli anni quaranta da congiunzione tra swing e bebop big bandistico. Quei quattro fratelli (tra cui erano insieme per un periodo personaggi quali Jimmy Giuffre e Stan Getz) rivivono oggi nel lavoro di Frank Tiberi (tenorsaxofonista, sopransaxofonista, clarinettista, arrangiatore e chi più ne ha più ne metta) e la sua preparatissima sezione saxofoni oggi riunita nella rediviva Woody Herman Orchestra.
Questo settetto (completato da una sezione ritmica con piano, basso, e batteria) ha riproposto pezzi già suonati venerdì con l’orchestra integra e altri inediti per mettere a risalto al compattezza dei quattro fratelli di swing, composizioni originali hermaniane e di altri leggendari interpreta: quattro fratelli, un unico swing, molti applausi.
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roberto
11 Maggio @ 20.38
a scanso di equivoci, il roberto che scrive non è roberto bonati, il musicista di cui parlo e che non ho neppure il piacere di conoscere personalmente
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roberto
11 Maggio @ 18.27
un appassionato di jazz non può che essere felice che aumenti l'offerta di grande musica in città. tuttavia non capisco come si possa parlare di questo festival come di un primo passo in una città "a digiuno di grande musica afro-americana". Forse il recensore è troppo giovane per ricordare che negli anni 80 in piazza duomo suonarono, fra gli altri,dizzy gillespie, art blakey, michel petrucciani, sarah vaughan, ray charles, horace silver, lionel hampton..Ma certo non può ignorare che da tanti anni un musicista di parma, di livello internazionale, organizza un festival di grande prestigio (guardarsi le annate di Musica Jazz) ed ha portato a Parma musicisti come terence blanchard, uri cain, johnny griffin, dave douglas, gli oergon e tanti altri, oltre a tutti, proprio tutti, i maggiori italiani, che sono fra i migliori del mondo. Insomma, tutto ciò che è stato detto su questo festival (complessivamente buono, eccelso in marcus roberts e dianne reeves) è quanto meno ingeneroso verso chi ha fatto tanto per il jazz in questa città.
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