Filiberto Molossi
Storia dell'uomo che è stato troppo ragazzo: e ora rischia di rimanerlo per sempre. Adulto bambino smarrito in un presente assente, nella dissolvenza imprevista di un tempo infinito. Là dove solo il passato resta, ha un senso: mentre l'oggi lentamente si sgretola, sfuma, scivola via come acqua tra le mani. E' un film doloroso e ostinato, anche se un po' borghese, «Una sconfinata giovinezza», l'ultimo lavoro di Pupi Avati: che affronta, caricandosi sulle spalle lo zaino pesante dei ricordi, la ripida discesa nella malattia, quell'offesa crudele che si chiama Alzheimer; il morbo odioso che ti strappa la cosa più preziosa che hai: quello che sei, che sei stato, che hai vissuto. Ha un gran bel soggetto, una bella storia, di cui non sempre è capace di essere all'altezza, il film del regista bolognese: che sottrae anche alcuni episodi alla sua biografia per raccontare la vicenda di una coppia realizzata, Lino e Chicca, da 25 anni insieme. Lentamente ma inesorabilmente la memoria di Lino però comincia a traballare, a farsi più confusa: fino a farlo regredire all'infanzia. E a trasformarlo, paradossalmente, nel figlio che la coppia avrebbe voluto avere e non ha mai avuto...
Alternando di continuo due piani temporali - il tramonto del protagonista e la sua adolescenza in un appennino magico e «misterioso» -, Avati sonda con coraggio e gli attori giusti (Bentivoglio, la Neri e un bel coro di comprimari, tra cui anche il parmigiano Petrolini), il lutto di un sentimento costretto a cambiare parole e faccia: perdendo però, via via, il filo della spada, quando la bella calligrafia si fa più consumata e l'insistito ricorso alla voce off, ai flashback virati antico e a una scelta musicale un po' posticcia e fastidiosa sembrano lo specchio di un'elaborazione un po' frettolosa.
-SCHEDA |
UNA SCONFINATA GIOVINEZZA
REGIA E SCENEGGIATURA: PUPI AVATI
FOTOGRAFIA: PASQUALE RACHINI
MUSICA: RIZ ORTOLANI
INTERPRETI: FABRIZIO BENTIVOGLIO, FRANCESCA NERI, LINO CAPOLICCHIO, SERENA GRANDI, ERIKA BLANC
GENERE: DRAMMATICO ITALIA 2010, COLORE, 1 H E 38'
DOVE: ASTRA e CINECITY
GIUDIZIO: ***** |
Inviaci il tuo commento
Condividi le tue opinioni su Gazzetta di Parma
salvatore
12 Ottobre @ 10.40
Immaginiamo un uomo solo disoccupato reddito 0,solo con sua madre in un paese disgregato sul piano sociale senza la comunanza dei piccoli gesti,in un inumanità urbanistica che sono dei mausolei delle proprie personalita.In cui la socialità è inscatolata in sagre, convegni, associazioni,la chiesa fa da sfondo ai buonismi e perbenismi alla ricerca di un ritorno d'immagine ad uso e consumo, la fede popolana si riconduce a santini di un credulità popolare o a esercisizi imbonitori, che sfruttano il bisogno di fede nall'emotività isteriche, passato il santo passato la festa. Io credo che bisogna saltare il muro, coin tutte le perplessità. comunque rilevo una certa similitudine, come il voler recuperare quell'essere bambini che non si è mai stati' o di dolori troppo grandi e sopportati troppo a lungo, e come da bambini ognuno cerca rifugio nelle braccia rassicuranti dei propri ricordi emotivi che quasi sempre sono quelli della madre. Comunque aldilà di un'ambientazione troppo borghese, il buonismo è simile a tutte le latitudini geografiche e sociali.
Rispondi