di Giulia Ciccone
«Pa-ra-da» è lo spettacolo della riconquista di un’infanzia rubata. Parla di bambini, abitanti di un sottosuolo annebbiato dai fumi della colla che sniffano, costretti a una prigione di violenza, droga e prostituzione. E’ la terribile favola con cui Marco Pontecorvo (figlio di Gillo e apprezzato direttore della fotografia) esordisce al lungometraggio, presentata alla Mostra di Venezia nella sezione «Orizzonti» e accolta da pubblico e critica con interminabili applausi. Dominato da un’esplosione di colori che si contrappone al dramma della vicenda, «Pa-ra-da» racconta la storia vera di Miloud Oukili, clown franco-algerino che, in un viaggio a Bucarest, scopre la realtà dei «boskettari», bambini fuggiti dalle famiglie e dagli orfanotrofi che vivono nelle fogne sotto la città. Miloud li istruirà all’arte del circo, regalando loro la possibilità di costruirsi un futuro. Al di là della bellezza formale della pellicola, ciò che incanta e conquista è l’aria autentica che si respira. E’ un film pervaso da un’atmosfera densa di amore e speranza, ma libero da retorica inutile, girato con un’intensità rara.
Pontecorvo ha la capacità di guidarci in una discesa agli inferi e poi di farci risalire verso la luci di un palco in cui ragazzini truccati diventano giocolieri e mangiatori di fuoco, fino a innalzare una piramide umana, simbolo di una libertà faticosa da raggiungere, ma fortunatamente possibile.
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