Giulia Ciccone
Siamo il frutto della nostra storia: per quanto ingiusta e ripugnante, non si può sfuggirle, solo provare a dimenticare. Come hanno fatto i parigini che, nel luglio del 1942, hanno assistito, impotenti o compiacenti, al rastrellamento di 13.000 ebrei francesi nel Velodromo d’Inverno, davanti alle loro finestre, nel luogo dove oggi sorge, per ironia della sorte, il Ministero dell’Interno. C'è anche chi vorrebbe riconciliarsi con il passato, frugando nelle vite degli altri, risvegliando i loro ricordi, per prepararsi a mettere al mondo una nuova vita nella luce della verità, dolorosa e ignobile, ma pur sempre necessaria. E’ il cammino che intraprende Julia, giornalista americana, parigina d’adozione, la quale, rimasta incinta, scopre che l’appartamento di suo marito era appartenuto alla famiglia di Sara, bambina ebrea sopravvissuta alla deportazione. Ossessivamente, si mette sulle sue tracce per restituirle ciò che le apparteneva, per fare pace con il passato.
«La chiave di Sara» non vuole essere un documento sulla Shoah, si prefigge piuttosto di raccontare un singolo evento, dimenticato da molti, per erigerlo a metafora della ricerca di se stessi. Le storie di Sara e Julia, temporalmente lontane, corrono su binari paralleli, il cui punto d’intersezione è rappresentato dalla chiave di un armadio in cui Sara rinchiuse suo fratello per salvarlo dal rastrellamento o la chiave della memoria collettiva di una tragedia che, anche se inflazionata, rimestata, reiterata, ha inciso sull'identità di un popolo, o forse dell’Europa intera. Scavare nelle nostre origini per rinascere con una nuova, più consapevole coscienza.
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