VIENNA
Elena Formica
Chissà come si chiamava. Era un suonatore d’organetto. Un giorno, lungo il tragitto fra l’Hotel Munsch e la Hofoper, Verdi incontrò questo pover’ uomo che faceva ascoltare, per le strade di Vienna, “La donna è mobile” da Rigoletto. Il Maestro gli gettò qualche moneta nel cappello, com’era suo costume. Però gli disse che quella “donna” era troppo mobile, che non andava suonata così in fretta. Kein Problem! L’indomani, il suonatore non solo aveva obbedito e rallentato il tempo, ma si era appeso al collo un cartello con la scritta: “Allievo di Giuseppe Verdi".
Svelto come un napoletano questo austriaco o boemo o ungherese, la cui vita s’è incrociata per un attimo con quella del grande Maestro che a Vienna, nel 1875, dirigeva Aida. Trentadue anni prima, giovane compositore pressoché sconosciuto al di là delle Alpi, Verdi aveva debuttato a Vienna con Nabucco. Non è dunque un caso che il Bicentenario Verdiano alla Wiener Staatsoper sia stato inaugurato, ora, con questo titolo.
La “prima”? Un successo, tanti applausi. Regia di Günter Krämer: da una parte gli Ebrei di una città dell’est Europa attorno al 1940, dall’altra un despota in abiti civili (per essere nazisti o antisemiti non occorrono uniformi). Due, per chi scrive, gli elementi di spicco: la direzione di Jesús López Cobos – tesa, nitida, scintillante - e l’interpretazione di Michele Pertusi nel ruolo di Zaccaria. Va detto subito, infatti, che il baritono Andrzej Dobber non s’è dimostrato un Nabucco all’altezza della situazione. Sia chiaro: la voce è potente, lo strumento è per certi aspetti raro; anche la prestanza fisica è ragguardevole, benché poco abbia a che vedere, nella fattispecie, con una vera, intensa “presenza” scenica. Si sono ravvisate, semmai, parecchie “assenze” in termini di gestione vocale e di senso del linguaggio, del personaggio, del dramma. Un “Nabuccone” robotico e legnoso: peccato. Il soprano Elisabete Matos (Abigaille) cantava per la prima volta alla Staatsoper. Ruolo arduo, il suo, affrontato con passione, seppur giocando troppo spesso la carta dell’acuto formidabile (etimologicamente: “da paura”) forse per depistare dalla vacuità dei centri e da una certa fatica nei gravi.
Il basso parmigiano Michele Pertusi è stato, anche per la cronaca, il trionfatore della serata. Su di lui, a scena aperta, una pioggia di “bravo!”. Un artista carismatico. Voce nobile, duttile, così naturale e nel contempo magica per la capacità di effettuare voli radenti sul suono (qui superlativo!) dell’orchestra , lanciandosi così senza forzature oltre se stessa, dentro alla musica, dentro all’avventura di questo giovane Verdi che non è “sangue e arena”, ma è già nervo, mente, parola. Quanto al resto, bene il coro; interessante la Fenena di Monika Bohinec; bravo assai il tenore Dimitrios Flemotomos (Ismaele).
(foto: Wiener Staatsoper / Michael Pöhn)
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