Lucia Brighenti
L’orchestra è come un animale, percepisce ogni tua debolezza», ma Jader Bignamini sa come domarla e martedì, quando ha diretto Simon Boccanegra, primo titolo del Festival Verdi, si è sentito.
Trentasette anni, direttore associato dell’Orchestra Sinfonica la Verdi di Milano, Bignamini è stato intervistato da Giuseppe Martini nell’ambito delle «Conversazioni» alla Libreria Feltrinelli. «Nella mia famiglia non ci sono musicisti, – ha raccontato Bignamini – ho iniziato a suonare in modo molto casuale, perché nella banda di Crema, la mia città, cercavano strumentisti. Ho scelto il clarinetto: il mio primo insegnante era un appassionato di lirica. Grazie a lui, dai nove agli undici anni ho imparato a memoria tutte le sinfonie di Verdi e di Rossini». Poi l’ingresso nell’Orchestra Sinfonica la Verdi, come clarinetto piccolo. Un’esperienza, quella di professore d’orchestra, che gli serve ancora oggi per dirigere: «Quando suonavo nella Verdi, nei primi dieci minuti di prove decidevo se un direttore per me era buono o no. In questo senso penso che l’orchestra sia come un animale: il rapporto si basa molto sulle sensazioni. Nei primi minuti di una prova, quindi, devi stabilire una buona intesa con tutti, saper rispondere a tutte le domande, portare dalla tua il primo violino». Quanto alla scelta del repertorio, Jader Bignamini ha le idee molto chiare: dirigere è una questione di tempi, bisogna sapere quando è il momento giusto per ogni cosa. «Quello che preferirei fare e quello che posso fare non sono sempre la stessa cosa. - spiega – Ho una propensione per il Verdi maturo. Mi piacerebbe dirigere anche opere di Mozart, ma in questo momento so che le rovinerei, ho bisogno di maturare e di fare un certo tipo di percorso. Per lo stesso motivo faccio ancora fatica ad affrontare il primo Verdi: prima devo fare esperienza con il belcanto». Come il critico Paolo Isotta riconosce in una recensione del 2011, Bignamini conosce bene la tradizione esecutiva, una cultura che ha maturato grazie alla passione e all’ascolto. Alla domanda di Martini se in Trovatore sopprimerebbe il do di petto, risponde quindi con molto equilibrio: «No, le puntature esistevano già ai tempi di Verdi, se andavano bene a lui non vedo perché eliminarle a priori. Tra l’edizione critica e un’edizione piena di vizi bisogna trovare la giusta via: sta quindi al gusto, che è collegato alla tradizione che abbiamo dentro».
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