«Vogliamo ringraziare Parma e metterci a servizio della città». A parlare sono alcuni dei profughi che nelle prossime settimane potrebbero essere ospitati da famiglie parmigiane nell’ambito del progetto «Rifugiati in famiglia» promosso dal Ciac (Centro immigrazione, asilo e cooperazione internazionale) con la collaborazione della Caritas diocesana.
L’iniziativa prevede l’accoglienza di alcuni profughi – che hanno già avviato un percorso di integrazione – all’interno di una decina di nuclei famigliari che hanno offerto la disponibilità a condividere la propria casa con i rifugiati. Chiara Marchetti (Ciac) sottolinea che in questi giorni «si sta valutando quali rifugiati saranno accolti dalle famiglie parmigiane, anche in base alla composizione e alle esigenze dei singoli nuclei». I profughi arrivano, tra l’altro, dal Mali, dal Gambia, dal Ghana, dal Senegal e della Guinea. Molti sono fuggiti dalle loro terre martoriate da conflitti e carestie impiegando anche anni prima di raggiungere il nostro Paese. Dopo aver sofferto soprusi e maltrattamenti, una volta giunti in Italia per la prima volta hanno ricevuto un’ottima accoglienza che ora vogliono ripagare. Tutti sognano di poter trovare un lavoro e desiderano rendersi utili.
«Vogliamo ripagare la grande accoglienza offerta da questa città – sottolineano – e dalle famiglie che ospiteranno alcuni di noi». Molti desiderano «sdebitarsi» svolgendo piccoli lavoretti e attività di volontariato. «In tanti ci stanno aiutando – spiegano - e non avendo soldi per sdebitarci, vogliamo ringraziare le famiglie che hanno scelto di ospitare alcuni di noi svolgendo piccoli lavoretti». C’è chi se la cava bene tra i fornelli e chi faceva l’elettricista. Molti profughi sono giovanissimi, alcuni di loro hanno un diploma, altri invece non hanno potuto completare gli studi. «C’è anche un'Africa buona – afferma un ragazzo diciottenne del Mali – diversa da quella che si vede nei telegiornali. Non siamo qui per rubare o per togliere il pane agli italiani; sogniamo di poter vivere con dignità sotto un tetto, avere qualcosa da mangiare, ma soprattutto un lavoro». Chi è arrivato prima e sta imparando la lingua fa da traduttore per gli ultimi arrivati. «C’è unione e solidarietà tra noi – rimarcano alcuni – dopo quello che abbiamo passato nutriamo un profondo rispetto verso i parmigiani e desideriamo ripagare ognuna delle famiglie che ospiteranno alcuni di noi. La gente di questa città è accogliente e ci ha riservato un calore che non avevamo ricevuto prima d’ora».
Maria Cecilia Scaffardi, direttrice della Caritas diocesana, sottolinea come l’iniziativa «sia nata all’interno della Caritas italiana» e sia stata sperimentata «in diverse diocesi, accompagnando passo dopo passo le famiglie che hanno deciso di aderire al progetto». «I rifugiati coinvolti – aggiunge – sono persone che sono nel nostro Paese da qualche tempo e che si stanno integrando nella nostra realtà. Il progetto di accoglienza in famiglia è pensato per aiutare queste persone ulteriori passi in avanti».
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