di Margherita Portelli
Ha due nastri al braccio, John Mpaliza Balagizi, il marciatore della pace che, partito da Reggio Emilia, camminerà per oltre quaranta giorni e arriverà fino a Bruxelles: uno nero, in segno di lutto per i sette milioni di fratelli congolesi uccisi negli ultimi venti anni, e uno rosso, il colore del sangue versato.
Ospite domenica sera dei missionari Saveriani di Parma, l’ingegnere originario del Congo che dal ’94 è in Italia, ha incontrato la città per parlare, insieme a padre Silvio Turazzi e a suor Teresina Caffi, della difficile situazione della Repubblica Democratica del Congo.
«Il Congo vive una guerra assurda che va avanti da sedici anni, ma che negli ultimi mesi ha ripreso con maggiore intensità a causa anche della comparsa di un nuovo movimento armato, l’M23, sostenuto dal Ruanda» ha introdotto padre Loris Cattani.
Una terra martoriata, e la cui sofferenza è determinata soprattutto dalle grandi ricchezze che la contraddistinguono: diamanti, oro, petrolio sono alla base dei tentativi di occupazione del paese. «A puntare all’occupazione sono le potenze vicine, come il Ruanda, ma anche le grandi potenze lontane – spiega suor Teresina, da tempo impegnata in Congo -. C’è un popolo che da decenni va morendo, e di cui nessuno parla, persone per cui mangiare una volta al giorno è una sfida».
Centinaia di migliaia di sfollati, famiglie costrette a scappare dalle proprie case, milioni di morti, e la più grande operazione di peacekeeping dell’Onu nel mondo, eppure del Congo si parla poco: «La situazione è drammatica, ma ho colto nel popolo una crescita profonda, una sempre maggior coscienza e volontà di partecipazione - commenta padre Turazzi, che ha da poco fatto ritorno dal Congo -. Ci sono, però, sfiducia e rabbia nei confronti dell’autorità centrale di governo».
E proprio per dar voce a questa situazione che John e altri suoi compagni di marcia hanno deciso di camminare, per infrangere quel silenzio che qualcuno ha definito «assassino». Una testimonianza, una presa di posizione per rompere il silenzio su una tragedia.
«Credo sia doveroso usare tutte le nostre forze, in questo caso anche quelle fisiche, per dire no – commenta Balagizi -: a Strasburgo e a Bruxelles, dove arriveremo in settembre, chiederemo conto di diverse cose: che cosa stanno facendo le forze dell’Onu in Congo? Come si intende agire per la situazione dei rifugiati? Si sta procedendo per arrivare alla tracciabilità dei materiali? Chiunque vorrà unirsi alla nostra marcia, anche solo per pochi chilometri, sarà il benvento».
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