Comunicato Stampa: “Rondeau”, un giallo dal ritmo serrato, tra tensione crescente e indagine senza sconti

La normalità esiste finché non mostra il suo rovescio. Vive di abitudini ripetute, di orari che rassicurano, di piccole regole che tolgono spessore all’ansia. Il giorno in cui qualcosa si incrina, la normalità smette di essere un fondale e diventa un’idea, un obiettivo fragile. Il romanzo in questione lavora su questa faglia: mette in scena l’ordinario e gli sottrae un cardine, lasciando il lettore davanti a una domanda semplice solo in apparenza. Che cosa resta della vita di tutti i giorni quando la realtà prende una piega inattesa e gli eventi, uno dopo l’altro, iniziano a comporre un disegno che non avevamo previsto. “Rondeau” di Francesca Perruccio ( Gruppo Albatros il Filo ) dichiara fin dal titolo una struttura circolare e una promessa di ritorni. Sui protagonisti si posa un fatto di sangue che sembrerebbe non riguardarli in modo diretto, almeno all’inizio: un merciaio ambulante viene ucciso . Uno scontrino, sbiadito e in apparenza trascurabile, aprirà un varco su una storia intricata e carica di contraddizioni.  Il giallo si nutre di oggetti minimi. Nel corso delle pagine lo scontrino ritorna sotto forme diverse, come idea di tracciabilità, come promessa di prova, come fantasma. Ogni volta sposta di un grado la percezione del lettore e costringe a ricalibrare le ipotesi. L’omicidio del merciaio non resta un episodio isolato: diventa il nucleo di una spirale che coinvolge i protagonisti, li avvicina a cerchi concentrici di domande, li trascina in una vicenda che intreccia vite separate solo in superficie. Nora , la protagonista femminile, porta in dote una grande fragilità . Ci sono giorni di buona luce e giorni in cui il respiro si fa corto. L’autrice conosce la grammatica dell’oscillazione emotiva e la traduce in una messa in scena rispettosa. Di fronte agli eventi, la protagonista reagisce con un’intelligenza che alterna prudenza e scarti improvvisi. L’ ansia non ne cancella la sensibilità, né la sofferenza ne annulla il coraggio. La sua presenza regge la tensione del libro perché offre una misura umana e una scala di valori solida . L’autrice organizza il romanzo come una trama ricca di fili sottili. Trame e sottotrame si incrociano con grande abilità, senza sfilacciature. La costruzione è ritmata, quasi musicale. I dialoghi dettano la cadenza, alzano e abbassano il volume, concedono accelerazioni improvvise e pause in sospensione. Il lettore sente che la storia sta camminando con passo costante, mentre l’economia del dettaglio governa l’insieme. Il mistero non abita un solo luogo. La Toscana dà il La alla partitura, il Veneto entra come scia, continente di piste laterali, volti che si lasciano intravedere e poi sfuggono, tracce di spostamenti rapidi. La Grecia, infine, sta sullo sfondo e nello stesso tempo al centro. C’è un sogno che guarda alle isole come a una mappa di salvezza, dove il mare funziona da personaggio terzo. Nel romanzo il mare diventa una lente, inquadra le relazioni, mostra le distanze esatte, suggerisce che ogni approdo richiede un attraversamento. La lunga serie di coincidenze a cui accennano i personaggi non appare come un trucco. Ogni casualità viene degnamente verificata nella logica dei fatti e nel modo in cui le vite dei protagonisti si sono sfiorate prima del delitto. La scrittura offre indizi, li collega con disciplina, poi lascia spazio al dubbio. Si crea un equilibrio tra deduzione e sospensione che impedisce derive compiaciute. L’effetto è quello di una trama che si lascia seguire con la concentrazione dei polizieschi classici e con la finezza psicologica del romanzo di carattere. “Rondeau” esige una breve sosta sul suo titolo. Il rondeau nasce nel Medioevo come forma chiusa , con versi che ritornano in un gioco di riprese e rientri . Guillaume de Machaut ne codifica il respiro, mette a punto un’architettura in cui principio e fine si rispondono. Nel romanzo questa figura diventa una chiave di lettura: gli eventi ruotano attorno a nuclei che ritornano con una forza diversa, perché ogni ritorno porta una sfumatura nuova, come se il testo provasse la stessa frase musicale in tonalità differenti.  L’atmosfera richiama quella dei grandi gialli di deduzione, dove la verità viene circondata, avvicinata per angoli, illuminata da piccole lampade. L’eco di Agatha Christie affiora nella gestione meticolosa degli indizi e nell’uso del dettaglio domestico come miccia narrativa. Una vena simenoniana si intuisce nella capacità di far parlare le ombre, di mettere il lettore di fronte a personaggi non riducibili a maschere, mentre la memoria sciasciana si riconosce nella puntualità con cui i fatti vengono interrogati, senza compiacimenti moralistici. Si può individuare una parentela anche nella precisione psicologica con Patricia Highsmith , soprattutto per la costruzione delle identità a strati sottili. La tensione non molla mai la presa. Anche quando la trama gode di un chiarimento, l’aria resta tesa come una corda di violino. La gestione del ritmo resta la vera cifra tecnica dell’autrice, rafforzato dalle sequenze dialogiche che aprono spiragli sull’intimo dei personaggi. La narrazione preferisce un lavoro di lima , attraverso il quale ordina materiali diversi e li tiene insieme attraverso una lingua chiara e accurata. Un registro narrativo accuratamente misurato assicura infine credibilità ai comportamenti. Questa disciplina consente alla componente emotiva di emergere così senza ricatti sentimentali, restando concentrata sull’indagine. Il mare ritorna quando serve: verso la Grecia confluiscono attese, consapevolezze, un’idea di seconda occasione, ma il romanzo non scambia la fuga con la soluzione. Il viaggio rappresenta un passaggio di maturazione, attraverso il quale si comprende che la normalità non coincide con l’assenza di ostacoli.  Nora si affaccia alle ultime pagine con una nuova esattezza interiore, nella quale la normalità invocata all’inizio diventa finalmente praticabile. Torna a esserlo perché ha attraversato il suo contrario. Il lettore, così, porta via con sé una postura: la consapevolezza che la vita quotidiana richiede cura, vigilanza, un’attenzione duratura ai piccoli fatti, perché ogni oggetto, ogni parola, ogni appuntamento trascurato rischia di essere il punto di ingresso di un racconto diverso . “Rondeau” mantiene la promessa del titolo. L’inizio lascia pregustare la fine e la fine, a sua volta, dà senso all’inizio. La circolarità non produce immobilità, perché è in essa che si cela una importante forma di consapevolezza. Il romanzo si chiude lasciando una vibrazione in sospeso, come accade quando un verso torna e il senso si deposita solo un istante dopo.  Chi ama i gialli che rispettano l’intelligenza del lettore trova qui una prova convincente. La precisione strutturale, la tenuta dei registri, la maturità con cui vengono governate le svolte narrative compongono un congegno capace di trattenere l’emozione e poi restituirla rafforzata.  Resta la tesi iniziale, completata dall’esperienza della lettura: la normalità del quotidiano si apprezza davvero dopo averne conosciuto il contrario . La si difende con gesti piccoli, con una scelta di parole precise, con una disponibilità a guardare la realtà fino in fondo. La soluzione del giallo, in questo quadro, non corrisponde a un colpo di teatro. Somiglia a una luce che si accende, non per accecare chi la osserva, ma per guidarla verso una nuova via. Il lettore esce così dalla storia con la sensazione di aver avuto l’opportunità di camminare in una città reale, di averne ascoltato le voci credibili e di avere, infine, misurato la distanza tra ciò che appare e ciò che conta .  

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