100 panchine come un romanzo

PAOLO GROSSI

Che belli quei pollici all'insù di Roberto D'Aversa che costellano il nostro archivio fotografico. D'altra parte il tecnico pescarese, che contro la Lazio ha tagliato il traguardo delle cento panchine nel Parma, ha fatto quel gesto già il giorno della sua presentazione al Parma, nel dicembre 2016. I sette soci lo avevano scelto dopo un lungo travaglio. Presa la decisione di rompere con Apolloni, Minotti e Galassi, incassato anche l'addio di Scala, avevano per un po' brancolato nel buio, inseguendo Vagnati e Palmieri come diesse e Delio Rossi come allenatore. Nessuna di queste piste si era concretizzata e intanto Morrone non riusciva a rivitalizzare la squadra. Ecco allora spuntare, dopo quello di Faggiano, il nome di D'Aversa, che alle spalle aveva solo una stagione e mezza al Lanciano. La prima chiusa con una lusinghiera salvezza in B, la seconda interrotta dall'esonero a gennaio. Parma non è mai stata refrattaria ai tecnici giovani. Da Sacchi a Zeman, da Scala a Ancelotti e Malesani tutti avevano esperienze limitate al loro arrivo qui. Ecco allora il primo pollice su, a celebrare il matrimonio con il Parma, club ambizioso dal retaggio importante ma che in quel momento era all'ottavo posto in classifica.

Passano poche settimane, ed ecco che al Mapei svolazza un altro pollice, sotto la curva in tripudio dei tifosi crociati: il Parma ha vinto in trasferta il derby che mancava da vent'anni. Con meno enfasi, vincerà comunque anche al ritorno in casa. E il nuovo tecnico dimostrerà subito di essere fatto di un'ottima pasta perché pochi giorni dopo al Tardini arriva il Modena di Capuano e i crociati si faranno trovare sul pezzo, senza rilassamenti post-impresa. Da Reggio (16 dicembre) a fine febbraio i crociati inanellano una striscia record di otto vittorie e un pareggio, quello rocambolesco con il Venezia, che lascia i lagunari in vantaggio nello sprint.

CRISI E RINASCITA

Una stagione però non può essere tutta rose e fiori e allora arriva la crisi con un periodo nero in cui Fano, Sudtirol e Ancona passano al Tardini. Quest'ultima gara apre un fronte anche fuori del campo ma allo stesso tempo sveglia l'orgoglio e cementa il gruppo alla vigilia dei play-off, introdotti dallo striminzito ma assai gradito 1-0 nel già citato derby di ritorno. E la gestione di quei play-off è un'altra prova di maturità per l'allenatore gialloblù, che ruota al meglio una rosa abbastanza spompata e dimostra di saper fare leva sulle motivazioni psicologiche prima ancora che su questioni tecnico-tattiche. Che pure non mancano se è vero che nella soffertissima vittoria con il Pordenone il primo gol arriva su splendido schema da calcio d'angolo. Poi c'è il tripudio nella canicola di Firenze, con migliaia di tifosi a cantare sulle note di Vasco Rossi «Come nelle favole». Senza sapere che la favola in realtà non finiva lì.

MARATONA B

La serie B è un campionato lungo ed estenuante: 42 partite e la spada di Damocle, ma anche l'obiettivo, di altri play-off. Faggiano mette assieme un'ottima rosa, ma il Parma è neopromosso: sulla carta Palermo, Empoli, Bari e Frosinone valgono di più. Si parte e sono subito montagne russe: due vittorie striminzite e poi tre ko di fila. Sarà un po' così per trequarti di stagione ma anche nel girone di ritorno, tra tanti successi, la squadra incappa in scivoloni dolorosi come a Chiavari, Vercelli, Cesena, tre avversarie che alla fine retrocederanno. Eppure D'Aversa sta lì in mezzo ai flutti come una roccia. Traballa solo a Empoli, dove la sconfitta è rovinosa per modi e termini. E lì la società lo sceglie un'altra volta. Sarebbe stato più facile, seguendo le logiche del calcio, provare a cambiare. Invece, un po' come accadde nel '96 con Ancelotti, la fiducia è la medicina vincente. D'Aversa addirittura intuisce che il ciapanò a cui tutti sembrano giocare alla fine premierà la sua squadra, che però ci mette del suo battendo in casa Palermo, Frosinone e Bari, oltre all'ostico Foggia. E a proposito di Foggia, ci vorrà lo zampino di Floriano per frenare il Frosinone sul traguardo e far sì che il Parma lo bruci, a pari punti, per aver fatto un gol in più negli scontri diretti. Finali da favola, appunto, di quelli che ti aspetti nelle fiction, non nella vita vera.

Così come magari non t'aspetti, visto che tre anni prima giocavi a Borgo San Lorenzo, di andare a battere Inter, Genoa, Torino, Fiorentina e Udinese a casa loro. O di rimontare due gol alla Juve nel suo stadio.

LA FORTUNA

Privati di argomenti dalle due fulminanti promozioni e dall'eccellente approccio alla A, i detrattori ad ogni costo ironizzano sulla fortuna del tecnico e polemizzano sulla scarsa qualità del gioco espresso. Lui, D'Aversa, oltre a lavorare indefessamente, si era limitato a far sapere che «nel calcio la cosa più importante è il risultato, a cui si può arrivare per strade diverse». E allora la fortuna più grande, va detto, l'ha avuta il Parma quando, sia pur conoscendolo poco, l'ha ingaggiato. Ai coraggiosi soci del nuovo club serviva un condottiero così: pragmatico, burbero anche, inflessibile su tanti dettagli ma soprattutto focalizzato sul risultato. Perché entrati nel calcio in cordata, i proprietari avevano un sogno e la paura di svegliarsi bruscamente senza poterlo realizzare. A loro volta hanno fornito al loro giovane allenatore tutto il supporto morale, organizzativo, tecnico, di cui aveva bisogno per forgiare l'impresa. E se il bilancio fortuna/sfortuna in queste cento partite daversiane è positivo, (e lo è), sarebbe sbagliato pensare che sia un caso. E' più giusto attribuire a un insieme di fattori la capacità di determinare gli episodi. Non c'è solo il culo: c'è la cura dei dettagli, lo studio degli avversari, la voglia di farcela gettando il cuore più in là. Se ce la mettono tutti (giocatori, tecnici, dirigenti, tifosi) è più facile essere fortunati ma in questa fusione l'allenatore ha un ruolo chiave.

IL GIOCO

Negli ultimi anni in serie C l'Alessandria di Sarri, la Paganese di Grassadonia, il Foggia di De Zerbi, il Pordenone di Tedino, il Matera di Auteri hanno saputo esprimere un gioco, almeno a tratti, spettacolare. Nessuna di queste squadre è salita di categoria. La fortuna del Parma è che D'Aversa, pur praticando il 4-3-3 che è stata la chiave d'ingresso qui da noi, punta dritto al risultato saltando i ricami. Chi adesso si lamenta di questo magari attaccava Malesani perché non vinceva lo scudetto. E il Parma appena rinato aveva bisogno di risalire verticalmente per aggrapparsi al salvagente della serie A. Poi ci sarebbe da fare un altro discorso: pur con la barra dritta sul risultato D'Aversa ha spesso messo in campo meccanismo tattici sofisticati. Già nel derby di Reggio si era presentato fondendo due sistemi di gioco. La «liquidità» del sistema è il tratto distintivo del calcio moderno più evoluto. Può non bastare a far divertire tutti, ma restano gli obiettivi centrati a consolarci.