We Will Rock You: la Queen revolution raccontata dall'ideatore dello show
PIERANGELO PETTENATI
Giovedì, al Teatro Regio, arriva il musical «We Will Rock You«, ispirato alle canzoni dei Queen. Basata sull’originale scritta nel 2002 da Ben Elton con Brian May e Roger Taylor dei Queen, è una produzione nuova ed originale realizzata per l’Italia da Barley Arts: nuove scenografie, nuove coreografie, nuovo cast e una trama riveduta e agganciata all’attualità. Ne abbiamo parlato con Claudio Trotta, fondatore di Barley Arts e artefice in prima persona (insieme a Michela Beslini e Valentina Ferrari) dell’intero allestimento.
L’inizio della progettazione di questo musical risale all’inizio del 2018, ma è arrivata nei teatri in un momento in cui la Queen mania è riesplosa ovunque…
«Ci sono alcuni artisti che hanno scritto o interpretato canzoni, opere e spettacoli passate attraverso l’interesse di generazioni diverse e che, per una sorta di applicazione dell’idea di Giambattista Vico dei corsi e dei ricorsi, periodicamente vengono riscoperti anche se in realtà sono sempre stati lì. Nella storia è successo ai Beatles, ai Rolling Stones, a Springsteen, a McCartney; ora tocca ai Queen».
Quanto ha influito «Bohemian Rapsody?»
«Il film è un piccolo capolavoro di emozioni, armonia, affetto, bellezza, sentimenti, esaltazione dell’amicizia; tutte cose che appartengono alla nostra dimensione rock. In un’epoca come la nostra, dove tutti siamo schiacciati e uniformati dalla rete, dai telefonini, dall’omologazione culturale in corso ormai da troppo tempo, un film così è una boccata d’aria, è un veicolo di liberazione di sentimenti e di modalità che tutti abbiamo; parafrasando i Perigeo di “Abbiamo tutti un blues da perdere”, ho detto a proposito del musical, del film e della musica dei Queen, che abbiamo tutti un rock da vivere. Solo che molti se lo sono dimenticati e non lo sanno. Il rock, inteso come cultura, è libertà e ribellione alla condizione in cui si è; è carnevale, è rovesciamento, è amore, è passione. Non è plastica».
Quali sono le peculiarità di questo musical?
«Lo spettacolo appartiene alla categoria dei musical, ma ne è a grande distanza per le modalità. C’è profondità, c’è comunicazione, c’è linguaggio, c’è attenzione alla narrazione, c’è attenzione alla prosa, alla recitazione e alla profondità dei personaggi. Le canzoni dei Queen, interpretate dal nostro cast e suonate dai nostri musicisti, sono un melange che non ti permette di stare fermo. E infatti, dai bambini di 5 agli ultrasettantenni reagiscono allo stesso modo: partecipano, cantano, battono le mani, si alzano».
Quali sono le principali differenze con la precedente edizione, che in Italia avevate portato 10 anni fa?
«Abbiamo fatto un grande lavoro di implementazione, adattamento e aggiornamento della trama. Nel 2002 non c’era il dominio dei telefonini e della rete e le multinazionali dell’intrattenimento non erano così forti; la vicenda è ambientata tra 300 anni in un mondo che non è più la Terra, diventata un enorme centro commerciale dove tutti sono diventati consumatori acritici e non persone con una propria identità. I protagonisti sono due ragazzi bullizzati che, per distinguersi dai coetanei omologati al sistema, per essere sé stessi diventano ribelli e liberano il mondo dalla mancanza di personalità e ridanno la libertà di pensiero. Una vicenda assolutamente attuale».
Parma è l’ultima data di questa tournée prima della ripresa del prossimo autunno. Qual è, finora, il bilancio?
«Dal punto di vista dei numeri, con 65.000 presenze è assolutamente positivo. Ma soprattutto è positivo per le emozioni, le sensazioni e le vibrazioni che abbiamo vissuto noi che lo abbiamo prodotto, ha vissuto chi lo suona, lo canta, lo balla, lo costruisce, lo monta ogni giorno nei teatri, e il pubblico che se lo è goduto e partecipato. Uno spettacolo rock che fa questi numeri è un segnale che forse sta cominciando una rivoluzione rock. È nell’aria, bisogna solo trasformare gli spifferi in venti impetuosi».