Trentacinque anni fa la trasfusione infetta, ora i soldi dovuti
GEORGIA AZZALI
Quell'intervento di trentacinque anni fa gli ha salvato la vita. E l'ha segnata per sempre. Il paradosso crudele di migliaia di persone che furono contagiate dal sangue infetto. Giovanni (il nome è di fantasia, ndr), che ora ha 62 anni, era poco più di un ragazzo quando, nel 1983, è finito in una sala operatoria del Maggiore, uscendo qualche settimana dopo con quell'«intruso» da cui non si sarebbe mai più liberato: Hcv, ossia virus da epatite C. Ha dovuto attendere fino al luglio del 2005 per sentirsi dire dalla Commissione medica ospedaliera che alcune trasfusioni durante quel ricovero l'avevano fatto ammalare, poi altri quattro mesi per ottenere l'indennità prevista dalla legge. E ora, a distanza di tredici anni, ha ottenuto la rivalutazione monetaria di quell'indennizzo: circa 50mila euro.
Una battaglia legale portata avanti con gli avvocati Claudio Defilippi e Federica Cusimano, che avevano fatto ricorso contro il ministero della Salute. Il giudice del lavoro di Bologna, Emma Cosentino, ha accolto in toto l'istanza condannando il dicastero al pagamento della rivalutazione monetaria sull'indennità integrativa a partire dal 4 novembre 2005, ossia dal giorno in cui a Giovanni era stato riconosciuto l'indennizzo. Che non ha nulla a che vedere con il risarcimento del danno, a cui si ha diritto dopo una causa che accerti una responsabilità colposa o dolosa. L'indennizzo è per così dire una misura di solidarietà sociale riconosciuta da una legge del 1992 alle persone che hanno subito danni permanenti dopo vaccinazioni o trasfusioni infette.
Molto più complesso, invece, il tema della rivalutazione monetaria. Un problema che si è trascinato per anni, sulle spalle dei malati. Nel 2011 si era persino pronunciata la Consulta: i giudici avevano dichiarato incostituzionale l'articolo della legge del 2010 che escludeva dal beneficio le persone affette da epatite contratta con una trasfusione. Ma lo Stato italiano non si è adeguato alla decisione della Corte costituzionale. E' così che moltissimi malati hanno deciso di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell'uomo. E nel 2013 i giudici di Strasburgo hanno spazzato via ogni dubbio, condannando l'Italia per il mancato pagamento della rivalutazione monetaria a chi era stato infettato da una trasfusione.
Dunque, niente più malati di Serie A e di Serie B. Tutti hanno diritto ad avere quei soldi.