Il Vangelo di Marco secondo Torelli

Luca Molinari

Il Vangelo di Marco in dialetto parmigiano. L’ultima fatica letteraria del giornalista Giorgio Torelli è una traduzione unica nel suo genere. «Al Vangel äd Marco in pramzán dal sas» è un «regalo» per chi ama le sacre scritture e il nostro dialetto. Un libricino minuscolo, senza fronzoli e foto (ad eccezione dell'immagine dell’evangelista in copertina) che rispecchia lo spirito del vangelo di Marco, definito da Torelli «sutt cme ‘na bräsca e sècch cme ‘n pingol».

L’agile volumetto è in vendita a cinque euro a favore della Caritas parmense nelle librerie e al salumificio Gastaldi di via Sonnino. La speciale traduzione si apre con una brevissima presentazione dell’autore, che spiega come sia stato il padre a insegnargli il nostro dialetto e ringrazia il figlio Stefano per l’appassionata collaborazione.

L’idea di riscrivere in vernacolo uno dei vangeli nasce anche dalla fede semplice di Torelli, che si definisce un «servo inutile» e confessa di avere sempre Gesù in mente, «anca quand a son drè pjär la pipa còj solfané da cuzen’na».

«A pens, a digh - prosegue Torelli - : “Cära al me Sgnor, a t’ possja fär compagnia con un briz äd fógh, ti ch’ a t’ sì nasù int’ la paja e in méz aj pastor ch’i sonävon piva-piva?”». Davvero singolare e «parmigianissima» anche la presentazione degli apostoli, definiti da Torelli «chi ragas»: «I andäv’n adrè a Gezù e par la genta i eron ‘na banda äd squintarnè. Campa caval, i sarisson dvintè j Apostol. Tant’ äd capél».

Leggendo il vangelo di Marco in dialetto, si ha l’impressione di sentire più vicini, più «parmigiani», tanti episodi raccontati nelle sacre scritture. Anche il racconto di miracoli o di momenti drammatici come la morte di Gesù, strappano un sorriso al lettore per la dissacrante semplicità dei nostri termini dialettali. Traduce Torelli: «Vón l’è andè a bagnär d’azèi ‘na spuggna, a l’à misa in simm’a ‘na cana e al gh’däva da bevor e intant al dzèva: “Spetì! Stèmma chi a vèddor s’ariva Elia a tirärol zo da la croza!”. Mo Gezù, con un zbraj potent, l’è mort».

Trasuda parmigianità anche la traduzione delle parole di Pietro (Pèdor), al capitolo dieci del vangelo di Marco: «Guärda che nuätor èmma molè tutt e t’ sèmma gnu adrè».