Oltretorrente, sequestrata una copisteria passata in mano ai due ex pentiti diventati cravattari

GEORGIA AZZALI

Da ex pentiti ad affaristi in piena regola. Prestando soldi con tassi che lievitavano di mese in mese. Così, anche se le cifre non erano certo vertiginose, chi accettava (subiva) l'accordo, si ritrovava a dover restituire una montagna di soldi. Ammesso che ci riuscisse. Perché una delle commercianti taglieggiate è stata costretta a cedere la maggioranza delle quote sociali della sua copisteria in Oltretorrente. Un'attività che però ora è stata sequestrata dalla Squadra mobile: su richiesta del pm Paola Dal Monte, il gip Mattia Fiorentini ha fatto scattare i sigilli ritenendola «profitto del reato di usura». La copisteria resta aperta, ma è stata affidata a un custode e amministratore giudiziario di Piacenza.

Nei giorni scorsi, l'arresto dei due ex collaboratori di giustizia - una vita insieme fino a qualche tempo fa -, ora il provvedimento di sequestro preventivo. Lui, 40 anni, in passato luogotenente di uno dei clan criminali baresi di spicco, è in via Burla; lei, 44 anni, che aveva condiviso con lui vita e affari, è ai domiciliari. E tutti e due, difesi rispettivamente dagli avvocati Michele Cammarata e Daniele Carra, avrebbero avuto un ruolo nel mettere all'angolo la proprietaria della copisteria. La sua resa era cominciata già con la richiesta del primo prestito, nel febbraio del 2015: 5.000 euro. Che nel giro di cinque mesi diventano 8.000. Ma la commerciante fatica a rispettare alla perfezione gli accordi e viene risucchiata in una spirale senza fine. I prestiti - sempre di 5.000 euro - vanno avanti fino alla primavera del 2016, ma spesso l'ex pentito trattiene una parte della somma pari alla rata precedente che la donna non è riuscita a saldare. Tanto che alla fine alla commerciante non resta che farsi da parte: deve cedere la maggioranza delle quote di proprietà della copisteria a un prestanome dell'ex collaboratore di giustizia, che poi - senza far sapere nulla alla donna - le trasferisce a una società cooperativa nella persona di un'altra testa di legno che a sua volta dà le quote a una società di cui sono titolari l'ex pentito e la moglie. Insomma, una serie di finti passaggi di proprietà per far sì che l'attività finisca nelle mani dei due usurai.

Ma la (ex) proprietaria della copisteria non è l'unica sulla lista dei clienti della coppia: lavoratori dipendenti, ma anche imprenditori. E i metodi usati per far sì che le persone onorassero i prestiti erano molto «convincenti»: minacce di morte e confezioni di proiettili in modo che non ci fossero dubbi su quale poteva essere la prospettiva in caso di pagamenti saltati. «... l'indagato - sottolinea il gip nell'ordinanza di custodia cautelare - è in grado di esercitare una pressante forza di intimidazione, promanante sia dai suoi trascorsi criminali "certificati" dallo status di collaboratore di giustizia che dalla disponibilità di armi, e non ha avuto remore a esercitarla sulle vittime, incurante delle richieste di dilazione dovute a gravi ragioni di carattere finanziario e/o sanitario». Perché tra le vittime c'è anche chi sarebbe stata costretta ad andare al bancomat, per prelevare un po' di soldi da restituire, appena uscita dall'ospedale e con ancora i drenaggi attaccati.