Cattani: un dolore senza fine

Andrea Ponticelli

A 35 anni di distanza la tragedia del Padiglione Cattani è ancora viva nel ricordo dei parmigiani: una ferita che il tempo stenta a rimarginare. Era il 13 novembre del 1979 quando alle 14.30 la quiete pomeridiana del Maggiore venne interrotta da un tremendo boato e poi dal crollo del padiglione che ospitava le degenze e la sala operatoria di cardiochirurgia, il laboratorio di gastroenterologia, e il primo reparto di anestesia e rianimazione Tre piani vennero inghiottiti da una voragine che seppellì degenti, infermieri e parenti in visita accanto ai famigliari ricoverati.

Ventuno le vittime, tre le donne che dopo quindici ore vennero estratte in vita dalle macerie, dopo un lavoro lento, delicato e massacrante, alla luce dei riflettori piazzati sui tetti degli edifici vicini. quasi a voler ripagare l'incessante opera di centinaia di volontari, con mezzi e strutture ben lontane da quelli attuali della Protezione civile.

Le speranze svanirono però quasi subito per Teresa Lamagni, una 77enne originaria di Vicobellignano, frazione di Casalmaggiore: morì nella tarda mattinata di venerdì 16 novembre, a tre giorni dallo scoppio:

il miracolo si compì per Angiolina Bedotti e Erminia Biggi. Angiolina si trovava accanto al letto del marito Giuseppe Vitali, che morì nella tragedia. Lei precipitò nel vuoto, in un vortice a valanga di calcinacci e mattoni.

Si salvò perchè, raccontò poi ai soccorritori, «una trave si fermò a pochi metri dal mio corpo, e impedì che restassi schiacciata dai massi».

E un'altra trave si trasformò in un miracolo per Erminia Biggi, infermiera ventottenne che stava assistendo una malata: quella trave provvidenziale la protesse, lei si trovò sul suo corpo anche il cadavere della signora che stava assistendo. Passò ore di angoscia e di dolore con una gamba, il bacino e la mandibola rotta: i soccorritori la individuarono alle 3 di notte, la liberarono alle 5.

Alcune furono vittime del caso. Rossana Merlini, operaia specializzata del centro di rianimazione, aveva cambiato il turno con una collega; Patrizia Villani lavorava per la prima volta al Cattani come dipendente della Pulis Coop.

Ricorda Cristina Vecchi: «Persi mia sorella Lorenza e mio zio Giovanni, che era ricoverato in Rianimazione per le conseguenze di un incidente. Mia sorella, che aveva 20 anni, era uscita prima dalla Prefettura, dove lavorava, per assisterlo. Lei entrò in Rianimazione, un altro zio stava uscendo: lui si salvò, mia sorella no».

Altri si salvarono per questione di minuti. Come il professor Germano Missale, che era primario del reparto di Gastroenterologia, uno dei tre coinvolti assieme a Cardiochirurgia e alla Rianimazione, all'epoca dello scoppio.

«Ricordo che sono uscito dall'ambulatorio alle 14,18 (due minuti prima dello scoppio ndr), e mi sono diretto verso il mio studio. Ho sentito un tremendo boato. E subito dopo ho visto un'infermiera arrivare interamente coperta dal bianco della polvere. Poi sono corso verso l'ambulatorio e ho visto che, dove ero fino a pochi minuti prima, c'erano soltanto macerie fumanti».

La tragedia restò senza un perché. L'unico punto certo, l'epicentro nella sala operatoria dove furono ritrovati solo brandelli dell'operaio addetto alla sostituzione di una bombola contenente oxico, un ossigenante del sangue usato negli interventi operatori. Perchè quella bombola scoppiò? A 35 anni di distanza è ancora un mistero.