Il comandante Landini

Stefano Rotta

Giuliano Landini, «il Lando», è uomo del sogno. Insieme al padre Giuseppe, valente uomo di fiume, tiene accesa la fiamma della navigazione. Raccontiamo una storia di famiglia, di Po e di sanissima, lucida, follia. I Landini esprimono bene l’anima indomita di questa terra emiliana che va a bagnarsi in acqua, lontana e vicina dalle città mediopadane, Parma, Cremona, Mantova e Reggio. Oggi Giuliano è ai comandi della motonave «Stradivari», la più grande dal Monviso al mare. Cinquecento tonnellate di stazza, ormeggiata stabilmente a Boretto, sessantadue metri di lunghezza e dieci di larghezza. Due Fiat turbo-diesel a spingerla avanti, quattrocento cavalli l’uno per totali 34mila centimetri cubici di cilindrata. Centocinquanta litri ora di nafta. Bisogna essere ai livelli di Ligabue – matti e geniali – per fare una cosa del genere, in un paesino noto più per la cipolla che per l’ancora. Per capire, come al solito, bisogna riavvolgere il rullino e tornare all’inizio. Giuseppe, borettese doc, fu apprezzato motorista per trentacinque esaltanti anni. Lavorò una vita sulle draghe, il fiume lo conosce come la credenza di casa. «Si potevano fare solo così le Pavia-Venezia a duecento all’ora, 237 di punta e 192 di media, coi motoscafi – spiega nel salottino della motonave – c’era gente che il fiume non lo conosceva e andava a insabbiarsi, spaccando tutto». Racconta: «Lavoravo nel Genio Civile. Un cantiere con trecento operai. Pulivo le caldaie delle draghe. Vedevo passare le gare». E’ stata lì la scintilla. Anche il sangue nelle vene va di corsa, in quest’Emilia di frontiera. Giuliano Landini ha vinto tre campionati del mondo di motonautica, il padre Giuseppe il campionato italiano del 1975, il campionato europeo nel 1982 e fu vicecampione del mondo in Ohio nel 1978 e sul Danubio nel 1981. Stiamo parlando di barche da 60 chili con 140 cavalli. Missili da oltre duecento chilometri orari sul fiume, che sfruttano cuscinetti d’aria che si formano fra lo scafo e l’acqua. Una volta Giuseppe, in Veneto, andò a sfracellarsi, si ruppe un pò di ossa, ma ci vuole ben altro a fermare questa gente. Nell’introduzione al libro «La motonautica Boretto Po», Roberto Bigi scrive: «Boretto è probabilmente il solo paese dove gli abitanti, oltre all’innegabile passione per il calcio, seguono con lo stesso entusiasmo le imprese motonautiche dei propri concittadini. Lo prova il fatto che in occasione delle gare al Lido Po si mobilita un esercito di appassionati e volontari che rendono unica ed efficiente l’organizzazione degli eventi. Come in altri sport classificati “poveri” o “minori”, c’è alla base solo la passione». Giuliano Landini è nato il 7 giugno 1962. Ha una sorella, Monica. Infanzia coi piedi in acqua, a «manare» i pesci nelle lanche. Fa il meccanico di auto e veicoli industriali. «Ho la meccanica nel dna. Si mangiavano pistoni, bielle e lambrusco. Ai tempi del team Landini, con lo zio Remo, abbiamo costruito un motore, nel ‘91 e ‘92, un quattro cilindri 500». Che anni, i primi Ottanta. Tre Landini schierati in tutti i campi internazionali. Dal 1981 lavora al Magistrato del Po, oggi Aipo dopo diversi cambi di nome. Il Lando – riconoscibile nei nebbioni per i capelli rossi – è uno dei più noti e amati meatori lungo tutta l’asta fluviale. Come il padre, fa anche il motorista sulle draghe. Ricordiamo, nella piacevole conversazione galleggiante, la grande secca del 2003, quando il fiume praticamente scomparve: «Arrivò a -4.50 sullo zero idrometrico. Il sette giugno di quell’anno fece 250 metri cubi al secondo, di fatto solo acqua di risorgiva. I laghi e i monti non buttavano giù più niente». E per contro i memorabili autunni d’acqua: «Il 19 ottobre 2000 alle ore 10.30 fece 9.06, con 13mila metri cubi nella sezione di Boretto, il record di sempre, ben più anche del 1951». Quest’avventura comincia con un taxi veneziano, con cui si portavano i turisti in gita fluviale. «Si parla del fiume solo per piene, magre e annegamenti. Invece il fiume è anche un luogo da visitare, con cui convivere e da cui si potrebbe trarre lavoro». In Italia, questa mentalità, forse perché presuppone fatica e serietà, sembra la condividano tutti, ma la perseguano in pochissimi. «Non abbiamo idea di che prospettive ci potrebbero essere se mettessimo in sistema le terre matildiche, le terre verdiane, Ligabue, Don Camillo e Peppone, l’enogastronomia, le ciclabili, e invece ognuno coltiva il suo orticello. Ci vorrebbe un’unica cabina di regia, sopratutto nel turismo». Giuliano si rammarica per la progressiva scomparsa delle lanche, «oasi di vita, ecosistemi delicati e importanti, acque pulite di sorgiva…». Da marzo a ottobre vengono organizzati giri di circa tre ore, verso Casalmaggiore o Guastalla, con pranzo a bordo. «Partecipano in genere fra le trenta e le ottanta persone. Si cerca di star fuori, sul ponte, a godere il paesaggio. In caso di maltempo abbiamo la sala, con aria condizionata e riscaldamento. Siamo stati anche a Venezia, Ferrara e Cremona. In andata via Po, ritorno tramite Canal Bianco». Si riflette: «Un tempo la navigazione in fiume era molto più praticata. Sia a livello diportistico, sia commerciale. Di qui transitavano le chiatte per Castel San Giovanni. La conca di Isola Serafini si passava bene». La Stradivari è stata protagonista di una disavventura, quest’inverno: andò a far visita alla Corte Pallavicina di Polesine, ma causa condizioni climatiche avverse il fiume s’ingrossò talmente tanto che la motonave non aveva più spazio per passare sotto i ponti. Fu quindi costretta a rimanere attraccata lì per diverso tempo. Proprio nel giorno dell’intervista, mercoledì 15 aprile, sul pennello di Boretto ci sono i Carabinieri. Ignoti hanno appena rubato tre barche e tre motori nuovi. Gli scafi, una volta spogliati dei fuoribordo, vengono abbandonati in corrente. Questa insicurezza non agevola la navigazione fluviale, che pure può dare grandi occasioni e soddisfazioni. Si sfoga anche il Lando: «Sono due o tre anni che rubano, non se ne può più». La motonave è gestita da una società, la «Altobordo Srl», di cui fa parte il reggiano Bagnoli. «Non ci conoscevamo, siamo diventati amici grazie alla Stradivari. Sapevo che c’era una nave non utilizzata, ormeggiata ai laghi di Mantova. Ho coinvolto questa persona, conoscendone la solidità, e lui, “sì, dai andiamo subito a vederla”. Amore a prima vista». Dopo il colpo di fulmine vennero i problemi, ma va così per tutto. Burocrazia, soldi che non tornano, spese, secche, piene. Dicono che vorrebbero vendere tutto, se qualcuno fosse disposto a comprare. Appunto, dicono. Siamo certi che la Stradivari navigherà ancora. L’amore è una cosa seria, ne vale sempre la pena.