Il Parma è costretto a fallire per salvarsi
Davide Barilli
Il 19 marzo, data dell'udienza fallimentare per il Parma calcio, è dietro l'angolo. E mai come in questo caso il paradosso è lampante: occorre fallire per «salvarsi». Un ossimoro. Sembra assurdo ma è così. A meno che il presidente Manenti (amministratore unico di una società che non ha neppure un cda...) tiri fuori dal cilindro una montagna di soldi o riesca a convincere il tribunale a concedere un concordato in bianco, sarebbe infatti la dichiarazione di un crac a dare la possibilità di nominare un curatore fallimentare. Figura chiave, quest'ultima. Anzi imprescindibile per poter chiedere al tribunale stesso l'esercizio provvisorio.
Solo in questo contesto potrebbero essere «spesi» nel vero senso della parola i cinque milioni messi a disposizione dalla Lega calcio. Una cifra intorno che sarebbe data al curatore fallimentare per permettere alla società di concludere regolarmente il torneo.
La cifra, non a caso, sarebbe a disposizione del curatore fallimentare solo dopo l'udienza del 19 marzo quando dovrebbe essere decretato il fallimento della società concedendo l'esercizio provvisorio, indispensabile per il mantenimento del titolo sportivo. Un piano che, per chi lo caldeggia, vede come ostacolo proprio Manenti. Per molti la speranza è quella di vederlo uscire di scena entro il 19 marzo, data dell'udienza fallimentare, così da pianificare il nuovo futuro della società ducale. La data fatidica si avvicina, ma se qualcuno pensava che con l'apertura del rubinetto (le istanze di fallimento di procura, di quattro agenti di giocatori e di un fornitore) sarebbero fioccate in cancelleria richieste da parte di altri creditori in genere, le cose non sono andate così. Nessun altro ha fatto istanza di fallimento. Il motivo è semplice: l'istanza della procura «assorbe» tutte le altre e i creditori potranno insinuarsi in una fase successiva.
Domani, inoltre, scade il termine concesso alla nuova proprietà per portare i «libri in tribunale». Ma in realtà tale termine è ormai ritenuto superfluo. Il motivo? I documenti contabili sono già stati acquisiti dal tribunale con il blitz della scorsa settimana della gdf a Collecchio e nelle sedi di Figc e Lega calcio.
Ma cosa potrà accadere il 19? Quali gli scenari e le ipotesi?
Manenti rinuncia al suo «sogno» (incubo per i parmigiani) e chiede a sua volta il fallimento. Manenti - che ha più volte annunciato che giovedì si recherà in procura - chiede il concordato preventivo garantendo un piano di ristrutturazione oppure si presenta con una valigia piena di soldi e chiede il rinvio. In tutti questi casi il Tribunale, prima di prendere una decisione, si riserverà. L'ultima ipotesi, quella più probabile, prevede che il tribunale dichiari il fallimento, nominando il curatore. Questi dovrà valutare se chiedere l'esercizio provvisorio possa aggravare ulteriormente lo stato passivo o se invece - grazie ai soldi garantiti dalla Lega - si possa portare a termine la stagione consentendo nel contempo al tribunale di indire un'asta per vendere la società. Magari riuscendo, attraverso l'intervento della Lega a «abbassare» il debito sportivo attraverso una serie di transazioni.
Già, vendere, ma a chi? Nomi ne sbucano da ogni parte. Ma occorre credibilità e soldi veri, soprattutto puliti.
Insomma, il futuro del Parma resta un mistero. Almeno per il momento. Ed un mistero è anche il futuro del centro sportivo di Collecchio, un «gioiellino» dal valore 26 milioni di euro che fa gola a molti. In tutto questo «giro» di cessioni e cambiamenti societari, a chi è finito o a chi finirà?