Parmigiani a Parigi e francesi a Parma

Deborah Lettieri

Deborah Lettieri, la star parmigiana del Crazy horse di Parigi, commenta l’attentato che ha sconvolto la sua città adottiva e che ha particolarmente colpito il locale di cabaret più famoso al mondo: uno dei disegnatori rimasti uccisi, Georges Wolinski, aveva infatti collaborato in passato con il Crazy Horse, realizzando un cartone animato umoristico (e ieri Deborah ha postato su Facebook proprio un disegno di Wolinski dedicato al celebre locale, nella foto qui a fianco), che, da ieri sera e per tutta la settimana, viene riproposto prima dello spettacolo di cabaret. «La notte lavoro fino a tardi quindi non mi sveglio prima delle 11 – racconta Deborah, in arte Gloria -. Mercoledì mattina quando ho aperto gli occhi e ho guardato il telefono, c’erano già messaggi di amici che mi dicevano di guardare le news o mi chiedevano se stavo bene. Ho capito subito che era successo qualcosa di terribile. La zona della redazione di “Charlie Hebdo” si trova a pochi minuti da casa mia e mi capita spesso di passeggiare nel quartiere. È quando ti rendi conto che sta succedendo proprio accanto a te che fa più paura, quando non sono più solo immagini in televisione: il suono invadente delle sirene, che si insinua incessante nel sottofondo, da ieri mattina, non è più qualcosa che passa inascoltato».

Le lacrime agli occhi e la tristezza nel cuore, Deborah spiega: «Il dolore è soprattutto per le famiglie che hanno perso i loro cari. Ieri (mercoledì per chi legge, ndr) non ho preso i trasporti pubblici e lo sguardo delle persone che incrociavo per strada era diverso da quello degli altri giorni, la tristezza comune era palpabile; ora continuiamo con la nostra vita normale, perché è il nostro modo di mostrare che abbiamo vinto, nonostante tutto». «Noi siamo Charlie», da ieri si legge ovunque: «Siamo Charlie con il nostro diritto di ridere, di deridere, di morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio come diceva Charb», conclude Deborah.

 

 

Sébastien Chipot

Sébastien Chipot stava prendendo un caffè al lavoro, mercoledì mattina, quando ha visto comparire la scritta «Ultim’ora» sugli schermi che trasmettevano Euronews. «Sono rientrato alla mia scrivania per seguire la diretta. Non potevo crederci» commenta il 38enne francese, dipendente di Efsa e a Parma dal 2008. «Mi sento ferito e arrabbiato - spiega -. Ferito per l’uccisione di persone innocenti e perché non riconosco più il mio Paese. Arrabbiato per l’atrocità di questo attacco e perché i nostri diritti basilari come democrazia e libertà di stampa e di parola sono stati attaccati. Charlie Hebdo, in particolare, è parte della mia cultura: c’è da sempre e ci sarà sempre! Devo ammettere che sono ancora sotto shock perché non posso proprio pensare come ci si possa alzare al mattino, andare a lavorare e all’improvviso essere ucciso solo perché si sta facendo il proprio lavoro. Sono anche preoccupato dal fatto che questo tipo di eventi potrebbero avere ripercussioni negli ambienti di estrema destra con conseguenze che possiamo immaginare». Sébastien, nato a Epinal, in Lorena, a Parigi ha diversi amici e i suoi genitori vivono lì vicino. «Sono addolorati, tristi e scioccati - commenta -. In più, sono anche preoccupati perché il livello di allerta è stato alzato al massimo. I miei amici si sono dati appuntamento tra la folla silenziosa di place de la République in memoria delle vittime».

 

 

 

Eric Barthélémy

Eric Barthélémy, quarantatré anni, ha vissuto per otto anni a Parigi. Ieri, dalla scrivania del luogo di lavoro qui a Parma, dove vive dal 2008, ha seguito su internet lo sconvolgente racconto dell’attacco alla redazione della rivista «Charlie Hebdo».

Misura le parole con cautela Eric, quando gli si chiede di descrivere che cosa rappresenti per lui, francese di nascita e parmigiano di adozione, questo avvenimento.

«Per me è stato come un colpo dritto in testa – racconta -: ho stentato a crederci. Quella rivista per noi francesi è un vero pezzo si storia: siamo cresciuti, sin da quando eravamo bambini, con quelle vignette. A morire, per mano degli attentatori, sono stati grandi disegnatori, personaggi molto conosciuti e, sopra ogni altra cosa, combattenti per la libertà d’espressione. Un attacco volto a mettere a tacere la stampa è un segnale inequivocabile. Per il nostro Paese, che fa di “Liberté, Égalité, Fraternité” un motto nazionale, questo evento assume dimensioni davvero enormi: colpire la stampa è colpire la libertà d’espressione».

Ad avere la meglio, ora, sono la tristezza più profonda e un’indignazione collettiva.

«Proprio per dire no, tutti insieme, a quanto avvenuto, anche noi francesi di Parma stiamo organizzato una manifestazione in piazza Garibaldi, per domenica pomeriggio alle 15, come in molte altre piazze d’Europa» conclude Barthélémy.

 

 

 

Elena Bertoncini

Elena Bertoncini, 34enne parmigiana, lavora come grafica a Parigi, dove vive da 11 anni. «Ho avuto la notizia da un collega, perché la sua compagna l’ha chiamato per sapere se stavamo tutti bene, visto che l’attentato è stato a 10 minuti a piedi dal nostro atelier - racconta -. Siamo nello stesso quartiere, che è del resto uno dei quartieri più frequentati dalla gente che fa mestieri artistici. La sensazione che ho avuto è stato un misto di orrore, tristezza e indignazione. Orrore per l’atto di violenza atroce in pieno stato di democrazia». «La tristezza è legata al pensiero che la mia vita non sarà più accompagnata da questi disegni così ironici e capaci di descrivere con pochi tratti le controversie della società - continua -. L’indignazione è per tutte le persone di qualunque colore e religione che hanno subito l’affronto di vedersi descrivere un Dio assassino. Penso che alla base sia solo un problema di cattiva interpretazione». Per Elena, che a sua volta disegna per mestiere, vedere colpiti dei vignettisti è stato doppiamente tremendo. «Non sono un’umorista, ma tutti possiamo diventarlo all’occorrenza, ecco perché ho deciso che farò una vignetta anche io - sottolinea -. L’atmosfera qui è triste e carica di preoccupazione. Ieri sono stata alla manifestazione, mi sembrava giusto, ma ho avuto una gran paura. Ed è la prima volta che mi capita di aver paura a manifestare».

 

 

Alba Pessini

Alba Pessini è nata a Parigi quarantotto anni fa. Da vent’anni circa vive a Parma, dove insegna letteratura francese all’Università. «Ieri ho saputo tutto dal telegiornale - racconta in riferimento alla strage -: ho subito capito che si trattava di qualcosa di grave e drammatico. Noi francesi conosciamo la storia di Charlie Hebdo; sapevo che la redazione era già stata oggetto di minacce e attentati, e quando ho visto le prime immagini alla televisione è stata chiara sin da subito la portata dell’evento». Sceglie le parole con cura, Alba. «Ora la sensazione che prevale è prima di tutto una grande tristezza per la perdita di quelle persone, un piccolo mondo che è stato spazzato via - sottolinea -. Ma poi c’è anche tanta rabbia: perché davvero non si riesce a capire come si possa arrivare a tanto. In queste ore ho chiamato tutti i miei amici a Parigi, dove torno almeno due o tre volte ogni anno: è grande la voglia di stringerci ai nostri connazionali, credo che l’unico modo per affrontare una tragedia simile sia la coesione; la coesione che, come vediamo, sta unendo tutto il mondo al grido di “Io sono Charlie”. Quello che è successo ieri (mercoledì per chi legge, ndr.) a place de la République è fondamentale». Un atto di ribellione al terrore, ma anche un grande abbraccio collettivo, che in queste ore si sta riproponendo in diverse piazze del mondo (compresa piazza Garibaldi, a Parma).

 

Graziella Loreto

Graziella Loreto, sessantadueanni, ha un’agenzia immobiliare a Parigi, dove si è trasferita, da Parma, circa vent’anni fa. Ieri, per tutto il giorno, sul davanzale della finestra del suo ufficio, la luce di una candela ha illuminato il più buio dei giorni, per i parigini. «Regna una grande tristezza, non ci si riesce a fare una ragione dell’ignoranza e della veemenza che hanno mosso un’azione tanto ignobile, cui seguirà, temo, un rafforzamento dell’odio razziale - dice in proposito -. Ora bisogna far sì che la rabbia non prenda il sopravvento». Quando ha appreso dell’attentato, Graziella Loreto era in un bar. «Continuavo a sentire delle sirene andare e venire; in poco tempo, alla tv, ho capito il perché - spiega al telefono -. Una cosa del genere è talmente assurda da non sembrare vera: una violenza da far west, inaccettabile, in cui va completamente a perdersi ogni senso di rispetto per la vita». Come lei, tutta la città è come «paralizzata» nell’incredulità, anche se in tanti, tantissimi, si sono mossi per far sentire la propria vicinanza alle famiglie delle vittime e dimostrare che il terrore non avrà la meglio. Anche se la paura, inevitabilmente, c’è. «Il fatto che ci stiano mettendo così tanto a trovare e ad arrestare i responsabili, inoltre, spaventa ancora di più», conclude.