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Il «Rosario» di Fiorello

23 Marzo 2016, 12:05

Mara Pedrabissi

Due ore esilaranti, a conclusione di una pessima giornata. E' la voce fuori campo a spiegare : «I fatti di Bruxelles ci chiedono un momento di riflessione. Non si deve cedere a chi vuole impedire lo svolgimento normale delle nostre vite. Il senso della vita e della libertà è anche fare uno spettacolo in una giornata del genere». L'applauso suggella la condivisione.

Può iniziare l'anteprima de «L'Ora del Rosario» al Teatro Regio: il «sacerdote» Fiorello entra dal fondo della platea in abiti talari scortato da un giovane chierichetto, in sottofondo una musica ecclesiale. «Ritornate all'antico, sarà un progresso», suggeriva Verdi. E così fa il mattatore siciliano, ripartendo dalla gente che lo aveva scoperto nelle piazze, ai tempi del Karaoke (era l'inizio degli anni '90). Allo showman basta un'occhiata per valutare che il teatro è al completo e che il pubblico è quello cresciuto con lui e che, adesso, ha i capelli brizzolati. La battuta è facile: «Quanta gioventù!». I parmigiani stanno al gioco (tra il pubblico l'allenatore Fausto Salsano e il cantante Michele Pertusi, ma anche alcuni amici che l'artista cita, il dermatologo Fabrizi e Marco Manfredi di Publitalia) e si divertono. Frecciate e sberleffi ai «ricchi» della platea («il posto degli evasori fiscali») e ai poverissimi del «quinto piano», così in alto che «sono vicini agli angeli». Qui non si vuol svelare di più per non «spoilerare» lo spettacolo, come usa dire ora, ma attenzione ai cellulari.

E poi «Paaaaarma» con così tante «a» che «ci mettete mezz'ora a pronunciare il nome della città. Sembrate tanti Gene Gnocchi». Fiore è arrivato lunedì e alloggia in centro: in queste ore ha passato al setaccio il cuore della pétite capi tale così da farsi un'idea delle nostre virtù e dei nostri difetti. E lo dimostra a suon di gag (e video).

Per lo spettacolo vero e proprio , l'artista torna in borghese, in total black, al centro di una scenografia essenziale, parallelepipedi che si trasformano in tendoni teatrali o schermi per proiezioni. Punto di partenza è il dato biografico: «A maggio compio 56 anni»): da lì muove Fiore, alternando la giacca del comico, dell'imitatore, del crooner. Giovanilismo e moda vegana sono tratti dei nostri tempi e la battuta casca sempre bene. Con una regola siciliana: «più grossa è la minchiata, più grossa è la risata». Il capitolo imitazioni è da manuale (esilarante «Albachiara» di Vasco cantata da Orietta Berti).

Fintamente antitaliano (noi che all'estero non sappiamo le lingue), profondamente italiano («Senza Marconi e Meucci non ci sarebbero stati Steve Jobs e Bill Gates»), porta avanti due ore in perfetto stile Fiorello: il divertimento per il divertimento, nel senso etimologico del “divertere”, “distrarre da”. E ci riesce, strappando risate di pancia in straordinaria quantità. Dal suo ha talento, intonazione, studi di musica e di danza che mette in campo accompagnato dal vivo dalla band diretta da Enrico Cremonesi e composta da Carmelo Isgrò al basso, Massimo Pacciani alla batteria, Antonello Coradduzza alle chitarre. Autori dello spettacolo, insieme allo stesso Fiorello, sono Francesco Bozzi, Claudio Fois, Piero Guerrera, Pierluigi Montebelli e Federito Taddia. La regia è di Giampiero Solari, uomo di teatro prima che di tv, coppia rodata con Fiore (nel 2011 «Il più grande spettacolo dopo il weekend» su RaiUno). Stasera si replica. E saranno altre risate.

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