La storia di Lucia in tivù

Chiara Pozzati

Tutto inizia lì, sul pianerottolo di casa. Lì, dove Lucia Annibali viene sfregiata al viso con l’acido nell’agguato vigliacco ordinato dall’ex, Luca Varani. Lì dove cerca i brandelli della sua vecchia vita. Così la cronaca entra nel piccolo schermo. “Io ci sono” di Luciano Manuzzi (film tratto dalla biografia a quattro mani con la giornalista Giusi Fasano “Io ci sono –La mia storia di non amore”) è un alternarsi di passato e futuro, dolore e speranza. Perché sul suo volto, quello di cui oggi Lucia va fiera, non ci sono solo i segni dell’ossessione morbosa di Varani. Ma la forza di una combattente. Martedì sera, su Rai Uno è stata Cristiana Capotondi a vestire i panni dell’avocatessa di Pesaro diventata suo malgrado l’ennesimo volto di quella guerra troppo spesso sottovalutata. Dove le vittime sono sempre e solo da una parte. Una storia che fa da sfondo alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne che verrà celebrata domani.

E c’è molto di Parma in questo film che ha incollato al televisore oltre 4 milioni e 700 mila spettatori. A cominciare dall’aiuto regista parmigiano Lorenzo Molossi, ma i riflettori si accendono soprattutto sulla figura di Edoardo Caleffi (interpretato da Gioele Dix) e sul suo staff del reparto di Chirurgia plastica e Centro Ustioni del Maggiore. Dal travaglio delle operazioni, tante, delicate, dolorose a quello specchio che mostra a Lucia un’altra faccia. Un viso nuovo da esplorare e imparare ad amare. E ancora la delicatezza delle infermiere che le “concedono” di potersi lavare i capelli dopo settimane di interventi. Si percepisce l’umanità oltre il laser. E allora siamo andati a chiedere un parere a chi segue la Annibali nella vita reale.

«Ho visto il film in anteprima a Montecitorio, a fianco di Lucia, dei genitori, degli attori e non nascondo la grande ondata emotiva» chiosa Caleffi che tutto vuole fuorché apparire. La realtà e la fiction gli sedevano accanto «ed era chiaro che ciascuno di noi serba un proprio indelebile ricordo. E’ stata anche la prima volta che ho visto il prodotto finito, dopo le scene girate insieme a Roma con una tecnologia avanzatissima. Credo che il messaggio fondamentale sia chiaro: la storia di due ragazzi normali può trasformarsi in una tragedia infinita e non bisogna abbassare la guardia o perdere la speranza».

Tornando a quella Lucia che è anche un po’ “sua” Caleffi ricorda che «il percorso clinico è molto avanti ma non è finito. Lucia è una persona nuova e i risultati sono fonte di gioia per tutti. Noi – e fa riferimento al suo staff – continueremo a impegnarci fino in fondo con la competenza che mettiamo per tutti i 180 pazienti annui che passano dal Centro. Insomma ci siamo, Lucia mette la sua forza». Soddisfatto anche il numero uno dell’Ospedale Maggiore, Massimo Fabi: «E’ un film che accende i riflettori sul dramma di tutte le donne vittime di violenza». «Oltre a raccontare la vicenda, ben rappresenta anche la grande competenza e umanità di tutta l’equipe di Chirurgia plastica – ribadisce il direttore generale dell’Azienda ospedaliero universitaria -. Valori che contraddistinguono tutte le unità operative del nostro Ospedale».