«Così abbiamo preso Johnny lo zingaro»
Luca Pelagatti
«Quando gli ho messo le manette gli ho detto che la sua fuga d'amore era finita. E lui mi ha risposto che era ormai tutte le sue fughe erano concluse».
Sembra una scena da film d'azione ma questa è cronaca. Cronaca nerissima, certo, ma i protagonisti non sono di celluloide ma di carne e ossa. Quello con le manette ai polsi è infatti «Johnny lo Zingaro», l'ergastolano in fuga arrestato nei giorni scorsi in una casa nel Senese con la sua amante. Mentre il poliziotto con la battuta pronta è Alfredo Fabbrocini, l'ex dirigente della Mobile di Parma, un poliziotto di classe che molti rimpiangono in città. E non solo nelle stanze di borgo della Posta.
«L'arresto è stato il frutto di lavoro attento, meticoloso, svolto con molta cura», spiega Fabbrocini che ora dirige la seconda sezione dello Sco, il reparto d'eccellenza delle investigazioni della polizia in Italia. «Sapevamo che era in quella casa ma prima di agire occorrevano certezze. E le abbiamo ottenute». Per farlo i poliziotti si sono finti dei corrieri che dovevano consegnare un materasso nella casa dove sospettavano che l'evaso fosse nascosto. «Grazie al travestimento abbiamo avuto la certezza che la sua amante era nell'appartamento. Poco dopo, con una telecamera nascosta in strada abbiamo visto anche lui. E allora siamo entrati in azione». Sessanta uomini, guidati da Fabbrocini, hanno circondato la casa e sono entrati. E per il bandito, entrato in carcere a 15 anni per il suo primo omicidio si sono riaperte, per sempre le porte del carcere. «Si tratta di un malavitoso con un profilo criminale unico. Ha avuto contatti con la banda della Magliana, è stato collegato al delitto Pasolini, è evaso dalle prigioni di massima sicurezza e ha ucciso un poliziotto e ferito un carabiniere.
«Proprio per questo per il suo arresto è stato necessario un dispositivo particolare. Se fosse riuscito a salire sui tetti bloccarlo sarebbe stato molto difficile. E quando, dopo l'irruzione, siamo arrivati al secondo piano della palazzina stava proprio provando ad arrampicarsi per fuggire», spiega Fabbrocini che ammette che un simile arresto rappresenta sempre un risultato importante per un investigatore. «In casi come questi la cosa più difficile è aspettare. L'istinto ti porterebbe a intervenire subito. Ma invece occorre scegliere il momento giusto». Quello in cui le manette scattano senza possibilità di errore. E il poliziotto e il bandito si guardano negli occhi. Uno ha vinto. L'altro ha perso tutto.