Dopo 70 anni via la falce e il martello dal Comune

Michele Ceparano

Nel prossimo consiglio comunale di Parma, per la prima volta dal Dopoguerra, non ci sarà la falce e il martello. E' questo uno dei responsi del primo turno delle amministrative 2017 che hanno avuto luogo domenica scorsa e che hanno mandato al ballottaggio Federico Pizzarotti e Paolo Scarpa. In lizza per entrare le liste che si richiamavano alla tradizione comunista erano due. Una, composta dal Pci e da Rifondazione comunista, che sosteneva come candidato sindaco Ettore Manno ha avuto l'1,98 per cento. L'altra, invece, denominata Partito comunista, che sosteneva la candidatura di Laura Bergamini, ha avuto qualcosa in meno, l'1,25 per cento. Anche se fossero andate insieme non sarebbero comunque riuscite a entrare in consiglio. Fatto sta che la bandiera con falce e il martello che tanto ha contato in una città come Parma viene ammainata. Piaccia o no, nella nostra città, l'ideologia comunista ha sempre trovato terreno fertile, tanto che in passato, anche dopo la svolta della Bolognina e le varie scissioni, con gli eredi di quello che era stato il maggior partito comunista dell'Occidente bisognava sempre fare i conti. Fino a domenica notte, almeno per quanto riguarda il consiglio comunale. Forse è finito davvero il tempo delle ideologie e la gente - a sinistra come a destra - preferisce il voto che, con un brutto termine, si definisce utile. In tempi in cui la politica è tutta social e twitter, le idee che hanno appassionato tanti elettori per oltre un cinquantennio finiscono per così dire in soffitta. Una lettura che non significa comunque una resa ai «tempi moderni» per Laura Bergamini, una dei due candidati alla poltrona di sindaco per i comunisti. Con la promessa che la battaglia per i diritti dei lavoratori e dei più deboli continuerà anche fuori dal consiglio. Tutto sommato, per la Bergamini, cambierà poco. «Non sempre infatti i valori della falce e martello - conferma -, anche se alcuni consiglieri si richiamavano a essi, erano rappresentati. Anzi, da molto tempo non erano più rappresentati». I simboli sono importanti «ma non bastano. Occorrono idee e fatti concreti, se ci si ferma solo ai simboli non si legge la realtà. Quindi questi valori non mancheranno solo da oggi». Però, «verranno rappresentati fuori, dove noi come Partito comunista siamo vivi, attivi e saremo molto presenti. A Parma, dunque, la falce e il martello ci saranno e li rappresenteremo noi. La nostra campagna elettorale non è finita, ma continua». Una storia lunga quella dei comunisti di Parma, che ha visto la falce e il martello avere ben quattro uomini sulla poltrona di sindaco per trent'anni dal 1946 al 1976. Dopo Primo Savani, che restò in carica dal '46 al '48, toccò a Giuseppe Botteri che governò dal '48 al '51. Quindi Giacomo Ferrari, il comandante partigiano «Arta», primo cittadino dal '56 al '63, anno in cui cominciò l'era di Vincenzo Baldassi, l'ultimo sindaco di Parma del vecchio Pci, in carica fino al 1970. In quell'anno con Cesare Gherri iniziò la serie dei sindaci del Psi, ma il partitone rosso rimase il partito più forte della maggioranza di sinistra che governava Parma. Nel 1985 finì anche all'opposizione del pentapartito guidato da Lauro Grossi, ma restò sempre strategicamente fondamentale nella vita politica. Nel '92 il Pci tornò al governo della città con Stefano Lavagetto sindaco e la falce e il martello continuarono a sventolare in Comune nel simbolo del Pds, il soggetto nato dopo la svolta di Occhetto. In Comune iniziarono a entrare forze come Rifondazione e i Comunisti italiani che si richiamavano alla tradizione «dura e pura» spesso in rotta di collisione con il Pds prima e successivamente con i Ds e il Pd. La falce e martello fu relegata spesso all'opposizione, ma restò sempre una voce critica in consiglio grazie a esponenti come Vittorio Parisi, Alberto Perazzi, Lodovico Cutaia, Michele Franzoni, Marco Ablondi ed Ettore Manno. E proprio Manno è stato l'ultimo a rappresentare la falce e il martello nel consiglio di Parma. Una lunga storia amministrativa quella dell'esponente comunista entrato in Municipio nel '98 che il giorno dopo la sconfitta non ha avuto certo timore ad assumersi tutte le responsabilità di «questo risultato disastroso». L'amarezza in questo momento è tanta. «Il nostro - dice - è stato un movimento che ha costruito con i sindaci e i suoi esponenti il benessere della città. Però, non siamo stati bravi a trasmettere il nostro messaggio». Anche lui a deporre le armi comunque non ci pensa minimamente. «L'attività politica continua - promette -. Fuori o dentro, l'importante è che la bandiera rossa sventoli».