Doppia intervista: Minozzi e Giammarioli, «gemelli» azzurri
Paolo Mulazzi
La nazionale di rugby è a Parma da domenica sera per il primo raduno in preparazione ai test match di novembre. Gli azzurri si sono allenati ieri allo stadio Lanfranchi e proseguono oggi il lavoro; domani saranno a Milano per la presentazione ufficiale. Tra i cinque esordienti del gruppo di 34, che scenderà a 31 dopo il raduno di Treviso, figurano due giovani delle Zebre: il 21enne Matteo Minozzi, estremo, e il 22enne Renato Giammarioli, terza linea.
Insieme all’Accademia di Parma, poi al Calvisano, in estate alle Zebre e ora al raduno azzurro. Poi?
Minozzi: «Speriamo di esordire anche insieme, dai. Ci conosciamo da tanto, ho abitato anche con lui. Sono alle Zebre per fare il massimo e divertirmi: se poi arrivano le convocazioni in azzurro, bene».
Giammarioli: «Non lo so. Siamo grandi amici, sia in campo che fuori. Sinceramente non mi aspettavo questa convocazione. Speravo avvenisse, prima o poi, come lo sperano tutti».
Soprannome?
M: «Pity. Me lo ha dato Paz quando ero a Calvisano. E’ una lunga storia».
G: «Semplicemente Giamma».
La prima partita dell’Italia vista allo stadio?
M: «Col Galles al Flaminio e abbiamo vinto».
G: «Non ricordo… Forse con l’Australia, otto o nove anni fa».
Al primo cap, lo auguriamo quanto prima, c’è il rito dello “scalpo”; uno non ha molta voce in capitolo, ma, hai visto mai, che taglio vorresti?
M: «Spero non lo facciano, ma … Diciamo un taglio stile mohicani, via».
G: «Spero di no, ma lo standard è la boccia … ».
Nel 2018 toccherebbe di nuovo agli All Blacks…
M: «Ho sempre detto che vedere una haka sul campo significa realizzare il sogno della mia vita».
G: «Passo per passo. Vediamo come va».
Il tuo idolo nel ruolo in cui giochi?
M: «Damian McKenzie».
G: «Sergio Parisse».
Non è matematico seguire le orme del padre nello stesso sport: non c’era alternativa?
M: «Io sono nato col pallone ovale in mano. Mio padre ha giocato nel Petrarca, quello dei 4 scudetti di fila. Giocavamo a rugby in casa, quindi ha aiutato».
G: «Mio padre giocava a rugby, mi ha spinto lui a questo sport e col passare del tempo l’ho amato sempre di più».
Il tuo ricordo dell’Accademia di Parma?
M: «Il primo impatto verso il rugby degli adulti con dei bravissimi allenatori: mi ha aiutato tanto. Per il resto mi sentivo un po’ chiuso: io ho bisogno di spazi, di libertà; però è stato positivo».
G: «Tante amicizie, tante persone che sono rimaste. E’ stata dura, però se ti piace una cosa ci metti anima e corpo».
Mai come in questa stagione stiamo vedendo Zebre-spettacolo, con due belle vittorie e qualche altro punto: fa ben sperare…
M: «Siamo quarti nella conference, se battiamo i Cheetahs, sabato, possiamo raggiungerli in zona playoff: sarebbe bellissimo. Credo che la differenza la stia facendo Bradley con l’aiuto dello staff: ha impostato un gioco che si adatta bene ai giocatori che ha. Credo potremo toglierci altre soddisfazioni».
G: «Speriamo di continuare a fare bene. Peccato per il secondo tempo col Pau e per aver perso due giocatori in seconda linea. Bradley sta mettendo in campo un bel gioco, divertente: ci piace».
Questa volta le Zebre riusciranno a buggerare i Ghepardi?
M: «Speriamo. Qui sarà una partita diversa, credo che giocheranno più chiusi. Non abbiamo meno di loro, sarà una bella partita».
G: «Parlerà il campo».
Se un domani dovessi scegliere: Top14 o Premiership?
M: «Premiership. La mia squadra preferita sono gli Harlequins, quindi … ».
G: «E’ indifferente».
A tavola, invece, sceglieresti un primo o un secondo?
M: «Un primo tutta la vita: un bel piatto di pasta … ».
G: «Il secondo. Anzi no, il primo, il primo: un bel piatto di pastasciutta … ».
Da grande cosa vorresti fare?
M: «Io ho puntato tutto sul rugby e spero di farlo diventare il lavoro di una vita. Se non ci riuscirò mi rimboccherò le maniche».
G: «Per ora mi concentro nel diventare un rugbysta, poi si vedrà».