Estradizione di Jella, il deputato Rizzetto scrive a Mattarella
Chiara Pozzati
«Presidente Mattarella, le scrivo in merito al caso dell’omicidio di Alessia Della Pia, cittadina parmense per il quale risulta unico imputato il cittadino tunisino noto come Mohamed Jella. Considerata l’efferatezza dell’omicidio sono a chiedere un suo intervento tempestivo, sempre e chiaramente nel rispetto degli accordi bilaterali e del diritto internazionale, per vigilare e accelerare - se possibile - il rientro nel nostro Paese del signor Jella». Mittente: Walter Rizzetto, deputato friulano, vicepresidente della Commissione lavoro, che già in passato ha sollevato il caso alla Camera. Destinatario: il capo dello Stato. A meno di due settimane dalla cattura del 30enne tunisino, che il 6 dicembre 2015 ha ucciso di botte la 38enne parmigiana in via Bersaglieri, Rizzetto rinnova il suo impegno. «L’Italia deve tentare tutte le strade possibili per ottenere l’estradizione di Mohamed Jella. Temo sia chiaro ormai che si tratti di una battaglia dove la politica è chiamata a scendere in campo, a metterci la faccia».
L’unico parlamentare, che si è occupato di questa triste storia, qualche giorno fa ha depositato una nuova interrogazione, per chiedere «se l’urgente richiesta di estradizione sia già stata effettuata anche in sede diplomatica e, nel caso, di avere ragguagli e chiarimenti in merito ai tempi previsti per il rientro dell’imputato in Italia».
L’esponente di Fratelli d’Italia non più tardi di un mese e mezzo aveva già presentato un’istanza al presidente del Consiglio e al ministro della Giustizia. Aveva poi mandato una lettera - a cui non ha mai ricevuto risposta - all’ambasciatore tunisino.
«Avevo ascoltato le toccanti testimonianze della madre e del padre di Alessia nella trasmissione "Quarto grado" e ho sentito il bisogno di fare la mia parte», aveva raccontato telefonicamente. Oggi torna a chiedere giustizia per la 38enne e la sua famiglia. Del resto, quella dell’estradizione, è una partita delicata che non contempla pareggi. Tra il nostro Paese e la Tunisia esiste una Convenzione per l’estradizione che risale agli anni Sessanta, ma l'accordo prevede un ampio margine di discrezionalità a favore delle autorità a cui viene richiesta. Allo stato attuale la giustizia di casa nostra ha già attivato tutte le procedure: il sostituto procuratore Andrea Bianchi, titolare del fascicolo, continua a monitorare la situazione. Anche i tempi del processo per ora rimangono un rebus: il fatto che non sia più latitante comporta che Jella abbia diritto ad essere presente. E pare che la procura sia orientata ad attendere il suo arrivo.
Ci sono però ancora cose da chiarire. Prima di tutto, le reali generalità del tunisino: qual è il suo vero nome? E non è chiaro neppure quale percorso abbia seguito per riuscire a volatizzarsi subito dopo il delitto. Tutto, nonostante le indagini fin dal primo momento si fossero concentrate su di lui.
Per quanto Jella fosse un «randagio», avvezzo a cavarsela in ogni situazione, per scomparire così ha probabilmente trovato qualche aiuto tra i piccoli spacciatori che come lui sopravvivono di espedienti. Ovviamente, i carabinieri del Nucleo investigativo sin dall’inizio lo hanno cercato li, nel sottobosco della malavita, passando al setaccio i casolari abbandonati, intercettando decine di telefoni intestati ai nomi più improbabili.
La prima richiesta di accredito dei militari per raggiungere la Tunisia risale a febbraio 2016. Segno che già allora gli investigatori erano convinti che Jella fosse lì. Solo due mesi dopo l’omicidio.