L'avventura di un pianoforte in alto mare

Michele Ceparano

Compie trent'anni “Aguaplano”, settimo album in studio del cantautore (e avvocato, per accontentare il padre, dopo essersi laureato in legge proprio a Parma) astigiano Paolo Conte. E' un lavoro imponente (è un doppio disco di brani inediti in cui l'autore, oltre che su testi e e musiche, ha messo la sua firma anche sui disegni in copertina, magico, di atmosfere francesi e coloniali, come nella tradizione dell'artista. Il suo trentesimo anniversario cade proprio in questo 2017 in cui Paolo Conte - va chiamato sempre con nome e cognome per distinguerlo dal fratello Giorgio, anche lui apprezzato cantautore e paroliere - ha tagliato un traguardo importante. Il 6 gennaio infatti ha compiuto 80 anni. Sobriamente, com'è suo costume, con ironia e fantasia. Caratteristiche di cui “Aguaplano” è intriso. Già la canzone che dà il titolo al lavoro e che ha l'onore di aprirlo è geniale. Protagonista è un'invenzione del cantautore: un pianoforte acquatico. La musica e l'acqua. Il testo è un'avventura, come accade spesso nei lavori dell'artista che quando sfondò in Italia in Francia riempiva i teatri già da tempo (siamo sempre un po' in ritardo oppure vale il detto nemo propheta in patria). Nella parola “aguaplano” c'è tanto: il viaggio, l'acqua, l'aeroplano, il pianoforte a coda, avvistato dall'aereo nell'aria “bionda e calda”, in un mondo dal “colore baio” come il mantello di un cavallo. C'è perfino un riferimento Rio de Janeiro, il “fiume di gennaio”, nome che diede alla città l'esloratore portoghese Gaspar de Lemos. Che si sbagliò, ma meno male...
I luoghi esotici e lontani sono la passione di quello che tra i pochi non francesi può fregiarsi del “titolo” di chansonnier. Del resto, per uno che ha scritto “Parigi” dove tutto intorno “è pioggia, pioggia, pioggia e Francia”, non si tratta di esercizio abusivo di titolo. Paolo Conte è infatti stato capace di sfondare nella patria di Brassens e di Brel. Inutile fare l'elenco delle canzoni dell'album: il lettore, se ancora non lo conosce, le scoprirà da sé. Le scoprirà o riscoprirà, come nel caso della celeberrima “Max”, brano che chi scrive, ascoltatala la prima volta, passò un pomeriggio intero a risentirla rovinando la puntina di quell'oggetto magico che era lo stereo. Un oggetto che, a quanto sembra, sta tornando in servizio permanente effettivo in casa di molti. Il viaggio di “Aguaplano” - che alcuni critici alla sua uscita considerarono un album “di transizione”, tra suggestioni esotiche, francesi e perfino napoletane, ha uno dei suoi climax ne “La negra”, divertissement in tempo dispari e si chiude con “Jimmy ballando”. E' il pezzo che Paolo Conte dedica al suo chitarrista, il bolognese Marco Villotti, detto Jimmy, uno che ha suonato anche con gente del calibro di Dalla, Guccini, Endrigo, la Vanoni, Morandi e gli Stadio. Un pezzo che, a un certo punto, fa: “Jimmy ballando, ballando/ con due cinesi io e te/ gente diversa da noi è strano sai/ guardare in faccia Shanghai”.

P.S. Sulla presunta ritrosia, quando non ruvidezza del cantautore nei confronti del pubblico, a chi scrive questa è sempre apparsa una leggenda. Insieme all'amico Riccardo Percudani, si andò negli anni Ottanta, sempre affamati di film e concerti, a sentire Paolo Conte al Teatro Valli di Reggio Emilia. Fu una serata memorabile e al termine - andava ancora di moda farlo - si riuscì a raggiungere il camerino per provare a salutarlo. Il cantautore uscì, si concesse con straordinaria gentilezza agli autografi. Poi disse: “Sto andando all'auto , vi va di accompagnarmi?”. Fu un'emozione: una manciata di minuti, dal camerino al parcheggio del teatro, assieme a un mito.