Milioni all'estero, Wally Bonvicini deve restare in cella

Georgia Azzali

La «nemica» di Equitalia resta in cella. Il tribunale del Riesame ha detto no alla scarcerazione di Wally Bonvicini, la presidente dell'associazione antiusura Federitalia arrestata il 16 settembre con l'accusa di aver messo in piedi un sistema per frodare milioni di euro al Fisco. Nessuna revoca né attenuazione della misura, così come per il friulano Tom Vigini, che resta in carcere. Confermati i domiciliari anche per Giuseppe Antoniazzi, il collaboratore della Bonvicini residente a Varsi. Barbara Oleari, l'altra parmigiana coinvolta nell'inchiesta, non aveva fatto ricorso al Riesame e resta ai domiciliari. I giudici bolognesi hanno invece scarcerato il friulano Sante Scian: il braccio destro della Bonvicini è passato dalla cella agli arresti tra le mura di casa.

Le motivazioni verranno depositate tra 45 giorni, ma è chiaro che sia per la Bonvicini, candidata sindaca nel 2012, che per Antoniazzi i giudici hanno ritenuto ancora attuali le esigenze cautelari. In particolare, per quanto riguarda la numero uno di Federitalia, solo il carcere scongiurerebbe il rischio di reiterare i reati. «Umanamente spiace, perché riteniamo questa misura particolarmente afflittiva in relazione ai reati contestati - sottolinea Luca Berni, difensore della Bonvicini -. Tuttavia, confidiamo nell'interrogatorio con il pm per poi ottenere una modifica della misura». Nel caso di Scian, invece, i giudici del Riesame hanno dato il via libera alla scarcerazione, ritenendo probabilmente «sufficienti» i domiciliari per evitare il pericolo che possa commettere nuovi reati.

L'indagine, portata avanti dalla Guardia di finanza e coordinata dal pm Emanuela Podda, era nata da una denuncia presentata nel 2014 dall'allora presidente di Equitalia spa, Attilio Befera, e dal numero uno di Equitalia Nord, Marco Cuccagna, alla procura di Roma. Un procedimento penale passato poi a Parma per competenza territoriale. Fino agli arresti di metà settembre: in cella, oltre alla Bonvicini, erano finiti Sante Scian, di Cordenons (ora ai domiciliari) e Tom Vigini, triestino, mentre Ababacar Diaw, residente in Senegal, era risultato irreperibile. Domiciliari per Barbara Oleari e Giuseppe Antoniazzi, tutti e due collaboratori di Federitalia, ma anche per Sauro Terzuoli e Serena Redditi, aretini, che si occupavano delle perizie allegate alle denunce-querele. Associazione a delinquere finalizzata alla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, oltre che a un'altra serie di reati: questa l'accusa per tutti, oltre che per Domenico Rossi, notaio savonese, e per l'imprenditrice savonese Carla Toni.

Sequestrati, inoltre, quasi 7 milioni di euro, 7 società, l'associazione Federitalia, 3 conti correnti, 41 partecipazioni societarie, 16 immobili e 2 siti internet. In totale, sono trenta gli indagati (tra arrestati e denunciati), di cui tredici residenti tra Parma e provincia, sotto inchiesta, a vario titolo, per reati tributari, falso e calunnia.

Ma qual era, secondo gli inquirenti, il sistema targato Wally e amici? Un rompicapo di società tra Italia ed estero che funzionava alla perfezione. Venivano create una miriade di trust, con il «trustee» (il gestore) fittiziamente residente in Slovenia, e società ad hoc con sede sempre in Slovenia, oltre che in Senegal e in Croazia. A volte è la stessa Bonvicini, formalmente residente in Slovenia, a figurare come legale rappresentante delle aziende, ma più spesso «agisce in nome e per conto del suo prestanome di fiducia, il senegalese Diaw Ababacar», scrive il gip.

Tra apparizioni in tv - soprattutto all'epoca della candidatura alle elezioni - dibattiti e incontri, Wally Bonvicini aveva fatto una marea di proseliti. E soprattutto clienti. Perché le pratiche predisposte dall'associazione costavano alcune centinaia di euro.

C'era chi non aveva problemi di soldi, ma di imposte non voleva sentire parlare. L'associazione provvedeva a creare gli strumenti ad hoc per nascondere i patrimoni all'estero o per intestarli a prestanome. E addio alle pretese dei creditori. Ma c'erano anche quelli che effettivamente avevano l'acqua alla gola e hanno visto nella Bonvicini l'unica ancora di salvezza.

Una rete collaudata. Ma anche un'associazione che avrebbe saputo mettere in campo tutte le mosse giuste per arrivare al risultato. Federitalia, soprattutto a partire dal 2012, ha cominciato a inondare le procure d'Italia di denunce per usura ed estorsione nei confronti di Equitalia e delle banche. Azioni strumentali, secondo gli inquirenti, per avere la possibilità di usufruire della sospensione della procedura esecutiva grazie al Fondo vittime dell'usura: un tempo che consentiva il trasferimento dei patrimoni all'estero. Querele presentate e ripresentate identiche per anni, nonostante le archiviazioni. Denunce di fatto fotocopia, da qui anche l'accusa di calunnia per la Bonvicini e per altri suoi collaboratori. Non c'erano né usura né estorsione, secondo i magistrati, ma le accuse venivano riproposte. Perché l'obiettivo era quello di rallentare i tempi e schivare le maglie del Fisco.