Riccardo Muti e gli aneddoti parmigiani sull'«Aida»

«Aida» e le tre curiosità parmigiane. Il genio di Verdi che trae da un grido «musicale» di strada il motivo cantato dai sacerdoti; lo spettatore reggiano deluso che ottiene il rimborso addirittura da Verdi stesso. Il famoso, famigerato rimprovero del loggione del Regio in disapprovazione di Carlo Bergonzi: «Grande tenore verdiano che miracolosamente riesce ad eseguire il sibemolle secondo l’indicazione di Verdi», racconta Riccardo Muti: «Cioè pianissimo e morendo. Una meraviglia. Risultato? Gelo, dissensi e uno che gli grida ‘Taioli!’, intendendo sbeffeggiarlo paragonandolo a un peraltro bravo cantante popolare. E quando Bergonzi gli mostra la parte scritta dal compositore, lo sciagurato risponde: ‘Allora s’è sbagliato pure Verdi!’. Questo perché parte del pubblico, diseducato da esecuzioni volgari, vuole l’acuto lungo e roboante».

Muti sarcastico commenta in camerino: «Bergonzi e Taioli avrebbero avuto tutte le ragioni per costituirsi parte lesa contro il loggionista screanzato».

Verdi, le magie di Verdi che come diceva Bruno Barilli è capace di trovare l’oriente anche in un cocomero nostrano. Anni prima di «Aida» a Parma (1872), Giuseppe Verdi è a passeggio in centro insieme a Giuseppina Strepponi quando sente il ripetuto richiamo di un merciaio, un rigattiere ambulante: si ferma, estrae un taccuino, traccia un rapido pentagramma e vi annota qualcosa. Secondo un’altra versione, risuona invece la insistita invocazione cantilenante di un certo Paita, venditore di pere cotte, ripetente fino allo sfinimento il supplice ritornello «Bojent i pér còtt, bojééént» .

Ed ecco che «Aida» arriva a Parma, la città è in fermento, l’opera scritta da Verdi per il Pascià del Cairo ha avuto un’eco mondiale. In platea siede il melofilo parmigiano che quel giorno aveva assistito all’interesse del compositore per la sinuosa perorazione peracottara del venditore.

E stupefatto ritrova l’ostinata nenia del Paita diventata nientemeno che il motivo delle sacerdotesse all’inizio del terzo atto, sulle parole «O tu che sei di Osiride…».

«Aida» ha un successo immenso: «Verdi viene chiamato al proscenio venti volte, la città gli fa dono di uno scettro d’oro, il Genio bussetano è idolatrato». Certo non da Prospero Bertani, abitante a Reggio in via San Domenico 5, le gesta del quale Riccardo Muti ripercorre in una meticolosa e divertente rilettura dell’episodio. Il Bertani parte da Reggio in treno per Parma, assiste alla prima, non gli piace per niente ma, ascoltati gli sperticati elogi dei compagni del notturno viaggio di ritorno, decide di riprovare: torna a una replica, ma non cambia parere. Sicché scrive direttamente a Verdi, lamenta d’aver speso 31,80 lire tra ferrovia, biglietti e cena (pessima! Alla stazione), d’esser turbato dagli spettri del pentimento di «figlio di famiglia» per aver dilapidato una bella cifretta: ed esige riparazione immediata.

«Vogliate rimettermi tale somma», scrive con tono intimatorio: «E dovete restituirmela tosto». La cosa tocca le corde umoristiche del Genio. Ed ecco che Verdi incarica l’editore Ricordi di provvedere al rimborso della spesa al deluso spettatore: tranne il costo del pasto, ché, ironizza Peppino al colmo della celia, «… poteva ben cenare a casa sua!»; e alla condizione che il Bertani firmi un’obbligazione scritta nella quale si impegni «a non andare più a sentire mie opere nuove».

E in data 25 maggio 1872 l’ostinato reggiano rilascia ricevuta dell’incasso di lire 27,80 dichiarando in aggiunta e concambio: «Non mi recherò più a sentire opere nuove del Maestro Giuseppe Verdi, a meno che assuma a mio carico la spesa relativa, qualunque possa essere il mio giudizio. In fede Bertani Prospero». v.t.