Tracciare un buon tartufo? Arriva una start-up
Monica Rossi
Valeria Bianconi e Alberto Frignani sono i fondatori di un innovativo progetto che mira a tutelare il tartufo italiano: è Humbria, la prima start up al mondo (sì, avete letto bene: al mondo!) nata a Parma e ideata proprio per tracciare il tartufo e permetterne una commercializzazione rapida, sicura e finalmente libera da contraffazioni. A vantaggio dunque tanto del cavatore, che si vede così tutelato anche a livello fiscale, quanto del consumatore finale.
Presentata a Bedonia lo scorso 15 ottobre in occasione della IV edizione della «Fiera del Tartufo», a Humbria ora non manca nulla per partire in grande stile e far parlare di sé ben al di là dei confini italiani.
Ma andiamo con ordine. «L’idea - spiega Alberto Frignani - nasce non solo per “democratizzare” il settore del tartufo e del suo mercato in generale, mettendo in contatto chi raccoglie il prodotto fresco con chi lo consuma, a casa o al ristorante, ma soprattutto per cercare di sradicare la contraffazione e la frode che purtroppo gira intorno a questo prodotto, cercando di limitare i danni che ne conseguono».
La raccolta del tartufo infatti è ancora ferma a metodologie e processi popolari, a volte poco trasparenti, che sono però destinati a cambiare. «Lo dimostra prima di tutto l’interesse del Ministero dell’Agricoltura e delle associazioni che ruotano attorno all’ecosistema del tartufo italiano, eccellenza riconosciuta ed esportata in tutto il mondo», continua Frignani.
Ma esattamente come funziona «Humbria»? «Il cavatore raccoglie il tartufo fresco e lo registra con lo smartphone tramite un’innovativa app, disponibile sia per iOS sia per Android, associandolo a un codice collegato a un rfid (il che vale a dire: identificazione a radiofrequenza, ndr) - spiegano Bianconi e Frignani, i due “cervelloni” che hanno di fatto messo a punto il sistema -. Dopodiché, il tartufo viene spedito ai nostri magazzini, dove è controllato, imballato in apposite buste salva freschezza e spedito nel minor tempo possibile ai clienti che lo hanno ordinato sulla nostra piattaforma (www.humbria.it) grazie a un semplice “click.” C’è anche la possibilità, per il cavatore, di vendere direttamente il frutto delle sue “fatiche” con un servizio di ticketing, cioè grazie ad apposite etichette digitali o fisiche fornite da noi».
In entrambi i casi, il cliente finale è certo di ricevere un prodotto autentico e italiano al 100%. Per di più, grazie al sistema che lo fotografa e lo geo-tagga, riceve anche tutte le informazioni inerenti al tartufo in questione. «Il sistema proprietario genera infatti in automatico un “certificato di raccolta” che accompagna la filiera - spiegano -. Cioè un percorso che permette di elencare tutte le caratteristiche organolettiche legate alla zona di raccolta, al tipo di terreno, alla pianta nelle cui vicinanze è stato cavato, alla freschezza e alle condizioni climatiche pregresse». Le fregature insomma hanno vita breve, anche perché «Humbria» si baserà a breve (si parla di gennaio) su un algoritmo antifrode che controllerà che le informazioni siano sicure e genuine.
Forti delle basi solide su cui si basa la tecnologia di Humbria, i fondatori stanno lavorando anche sulla tracciabilità di un’altra eccellenza del sottobosco italiano. «Pensiamo ad esempio al fungo porcino di Borgotaro, tutelato da un’Igp, e alle potenzialità che offre», concludono Bianconi e Frignani.