Alessio Turco guardato a vista
Roberto Longoni
Doveva essere il giorno dell'incidente probatorio, è stato il giorno dopo la notizia del suicidio in cella di Samuele Turco. Il cammino della giustizia è proseguito secondo calendario, con la sfilata degli esperti davanti al gip Sara Ricucci e al pm Emanuela Podda, per la consegna delle perizie psichiatriche e informatiche. Ma dalle 22,30 di martedì sera è come se tutto continuasse a scivolare dietro l'ultimo tragico atto del 42enne catanese ritenuto dagli inquirenti responsabile con il figlio Alessio del duplice delitto di Natale costato la vita al 49enne Luca Manici (al secolo «la Kelly») e alla 45enne argentina Gabriela Altamirano. Che il giovane si presentasse in tribunale ieri mattina era considerato alquanto improbabile un po' da tutti nei giorni scorsi. Uscito di scena in questo modo il padre, veniva visto impossibile. E così è stato. Alessio è rimasto nel carcere di Reggio Emilia, ora rinchiuso nel proprio dolore prima ancora che tra le pareti di una cella. «E' sconvolto e arrabbiato. Credo che in parte lo sia anche con il padre» dice l'avvocato Elisa Furia, titolare della difesa del ventenne.
Non erano solo parole quelle di Samuele Turco. Minacce a se stesso (ma con la conseguente ricaduta di violenza anche sugli altri) raccolte innumerevoli volte da Laura Ferraboschi, titolare della sua difesa. Minacce tradotte in un gesto che ha sorpreso anche Renato Ariatti, lo psichiatra autore della perizia nella quale il 42enne veniva descritto come «narcisista, istrionico e drammatizzante», portato all'«ostentazione» e in cerca costante di «ammirazione». Insomma, niente che facesse temere in modo serio una tragica uscita di scena. Soprattutto alla luce del passato dell'uomo arrestato per la mattanza dell'ex fidanzata e del trans parmigiano nel casolare a luci rosse di San Prospero. Due almeno i tentativi di suicidio da etichettare senza troppi dubbi come messinscene: uno nel 2013, con i tagli al braccio sinistro (superficiali, e praticati nel momento in cui entrava un cliente) nel negozio di animali allora gestito da Turco in viale Fratti. L'altro poco dopo la scoperta dei due cadaveri, con la candeggina allungata con acqua e rigettata sull'auto civetta della Squadra mobile lanciata a tutta velocità verso il Pronto soccorso del Maggiore. «Gesti dimostrativi, nulla di realmente depressivo» secondo lo psichiatra. Che in certi casi non sia necessario essere depressi per togliersi la vita?
«Con Ariatti - ricorda Laura Ferraboschi - abbiamo parlato un po' questa mattina (ieri per chi legge, ndr). Si è detto dispiaciuto e sconcertato per quanto è avvenuto». E' come se i troppi annunci di Turco senior avessero alzato una cortina fumogena su ciò che avrebbe potuto fare. Per questo i più sono stati presi in contropiede. «Era ossessionato. Continuava a ripeterlo: “Io prima o poi riuscirò a suicidarmi”. Temevo lo facesse, così gli ricordavo che la vita può sorridere a tutti. Sempre. E che ci potevano essere novità nel caso: per esempio, dalla ricostruzione del mio consulente sta emergendo una ricostruzione dei fatti diversa da quella della procura».
L'avvocato non ha più nessuno da difendere ora. «Il ruolo dettato dal mio incarico è finito - spiega -. Anche se non è ancora stata dichiarata l'archiviazione dell'accusa, sottolineo che per la legge il mio assistito è innocente. E non lo dico solo io, ma anche l'articolo 150 del Codice penale: con la morte del reo si estingue il reato e di conseguenza tutti i rapporti penali, sia processuali che sostanziali». In realtà, Laura Ferraboschi ora ha un nuovo incarico. «La madre di Turco vuole verificare le cause della morte del figlio: mi ha chiesto di nominare un medico che assista all'autopsia. Abbiamo deciso che siano i due nostri consulenti che seguirono gli esami sulle salme di Manici e di Gabriela Altamirano».
Prevista la prossima settimana, l'autopsia sarà l'ultimo interrogatorio al quale sarà sottoposto Samuele Turco. Ora per il duplice delitto solo Alessio può essere chiamato in causa. E solo la parte della perizia psichiatrica riguardante il ragazzo (definito capace di intendere, ma succube del padre) è stata presa in esame ieri mattina. Niente di nuovo pare che sia emerso dalla perizia informatica chiesta a integrazione di quella presentata il 6 luglio. Non è escluso che la difesa di Alessio provi a chiedere il rito abbreviato. «Valuteremo, decideremo una volta ricevuto l'avviso di fine delle indagini» dice Elisa Furia. Non è stata lei a dare al giovane la notizia della morte del padre: lui già sapeva. «Sono andata a trovarlo ieri a Reggio Emilia - racconta l'avvocato -. Erano stati gli operatori del carcere ad avvisarlo. Uno psicologo era impegnato ad assisterlo. Era sconvolto, ha pianto molto: doveva ancora prendere davvero coscienza dell'accaduto. Stamane (ieri, ndr) ha ricevuto la visita della madre e della sorella». Alessio è in cella con un coetaneo. La procura ha disposto che sia tenuto d'occhio con attenzione ancora maggiore. Quel «succube del padre» ora pesa come un macigno.