«Eri la mia vita». Lo strazio dei familiari

Francesco Bandini

La bara bianca non è più bianca. Si colora dei colori dell'arcobaleno e dei pensieri di tanti giovani, come giovane era e rimarrà sempre colui che in quel legno ora riposa. I colori sono quelli dei pennarelli che gli amici di Filippo Ricotti, ieri mattina al suo funerale a Langhirano, hanno usato per ricoprire quella cassa con scritte e ricordi dedicati a un 17enne che non c'è più, adagiato in quella bara vestito della divisa che più amava, quella della sua Langhiranese, la squadra di calcio in cui ha giocato fin da bambino.

Tante scritte apposte con mani tremanti e occhi lucidi per rendere meno freddo il colore della morte. Fra i molti pensieri che rimarranno scolpiti per l'eternità su quel legno, uno dice: «Compagno di briscola e di vita, ciao Filo». Le carte da briscola per Filippo erano una passione e quasi una malattia, ci giocava sempre con gli amici, ovunque. Ne aveva sempre un mazzo con sé, il suo mazzo: quello stesso che il papà Stefano, prendendo la parola alla fine del funerale, ha tirato fuori da una tasca e ha mostrato alla folla che gremiva la chiesa. E quasi per stemperare quel clima di mestizia infinita, ha voluto scherzare su quella passione del figlio: «Faccio una proposta ai professori: introdurre a scuola una nuova materia, questa...». E ha mostrato proprio il mazzo di carte di Filippo, quello stesso mazzo che il 17enne aveva nello zaino la mattina in cui è stato investito e ucciso mentre andava alla fermata dell'autobus a Cascinapiano. Un gesto inaspettato, quello del papà Stefano, che ha acceso un principio di sorriso su tanti volti rigati dalle lacrime. E subito dopo ha chiesto un favore agli amici del figlio che non c'è più: «Filippo, che non domandava mai nulla per sé, aveva chiesto solo di poter festeggiare i suoi 18 anni con un viaggio insieme ai suoi amici. Spero che voi lo facciate, e che lo facciate pensando a lui».

Prima del padre, era stata la mamma Paola a leggere uno straziante testo, in cui si rivolgeva al figlio chiamandolo «Filo», proprio come hanno sempre fatto i suoi amici. «Filo, continuo a vederti in ogni cosa, in ogni gesto, in ogni momento – ha detto – e non riesco a credere che non ci sei più, che non tornerai, che saremo solo in tre. Eri la mia vita, insieme a papà e Camilla. Voi tre eravate riusciti a colmare quel vuoto che avevo dentro da quando a 6 anni avevo perso mio papà in un incidente stradale». Ora quel trauma di tanti anni fa si è ripresentato, in una forma se possibile ancora più devastante: la perdita di un figlio. «Adesso si è aperta una voragine – ha detto ancora la mamma – e non so come potrò colmarla. Ho detto a tua sorella che adesso dovrò riversare su di lei anche tutto l’amore che provavo per te, spero di non soffocarla. E spero e voglio avere la forza per andare avanti, per lei, che è una donna meravigliosa, e per papà: lo sai, lui è forte, ma a volte fa anche finta di esserlo e si tiene tutto dentro. Ti rivedo negli occhi dei tuoi amici e in quelli delle persone che ti hanno voluto bene. A tutti loro chiedo di non dimenticarti e chiedo aiuto per me, per Camilla e per papà. Ciao Filo, amore mio».

In chiesa i ragazzi sono tantissimi: i compagni della 4ªB del liceo Bertolucci, schierati su un lato della bara; i compagni della squadra juniores della Langhiranese, schierati sul lato opposto; e poi schiere di studenti del Bertolucci che riempiono ogni spazio libero. C'è anche il coro del liceo, che – alternandosi con il coro parrocchiale – accompagna la cerimonia. Cantano e piangono i compagni di scuola di Filippo mentre intonano «Irish blessing»: «Possano i fiori sbocciare sul tuo sentiero e la tua casa resistere alla tempesta. E fino al prossimo incontro possa Dio custodirti nel palmo della sua mano», recita l'antica canzone celtica.

Ragazzoni alti e forti si sciolgono in lacrime sulle spalle di adulti che faticano a dare spiegazioni e di coetanei che come loro si scoprono smarriti di fronte all'abisso della morte. È uno di quei ragazzi a leggere la lettera che i compagni di classe hanno dedicato a «Filo» (e di cui riferiamo nell'altra pagina). Ed è un compagno di squadra a parlare a nome di tutti i compagni e gli amici del paese, spiegando che bastano tre parole per descrivere Filippo: «Eleganza, umiltà e bontà. Era elegante, dentro e fuori dal campo, un amico prima di tutto, ed era gentile, sempre disposto a mettere il bene degli altri prima del suo. Non possiamo fare altro che ringraziarti per quello che hai fatto per noi, cercheremo di ripagarti come riusciremo».

A celebrare la messa, don Guido Brizzi Albertelli, parroco di Langhirano fino al 2010; a concelebrare, l'attuale parroco padre Angelo Riva e il suo predecessore don Raffaele Mazzolini. «Tu, Filippo, di sorrisi ne hai regalati tanti nel breve cammino della tua vita – ha detto nell'omelia don Guido –. Vedi quanti amici ti circondano! Contagiati dalla tua accoglienza e simpatia, dal tuo bisogno di relazioni autentiche, di aprire sentieri di condivisione e di pace, di godere fino in fondo il momento presente. Tutte queste cose c'erano nel tuo bellissimo sorriso, pieno di allegra spensieratezza, ma anche di un impegno serio e costante. Eri leale, sempre, in campo e fuori: eri educato, rispettoso. Valori che hai respirato nella tua bellissima famiglia».

IL RICORDO DEL «BERTOLUCCI»

Carla Giazzi

Lo scalone del Bertolucci non è un luogo come un altro. Su quei gradini salgono gli studenti di prima, emozionati, con la paura di inciampare, chiamati uno per uno dal preside, il giorno in cui inizia la loro avventura al liceo. Sempre lì, da quelle scale, il dirigente congeda i ragazzi di quinta e li affida alla vita, con lo zaino carico dei progetti, della preparazione, dell’entusiasmo verso il futuro costruiti in cinque anni di scuola. Il cammino di Filippo si è interrotto. Ma «se i progetti si spezzano, la memoria no». Lo promette, con dolcezza e con qualche pausa nella voce, la collaboratrice del preside Silvia Fontana, proprio davanti a quell’ingresso e ai ragazzi, ai professori, al personale della scuola, a Monica Reggiani, presidente del consiglio d’istituto, che riempiono il cortile del liceo. Chi non è andato al funerale a Langhirano si è dato appuntamento in contemporanea qui, per unirsi idealmente alla mamma, al papà, alla sorella, agli amici che erano in chiesa. «Ringraziamo Filippo di essere stato con noi e lo ricordiamo con tutto l’affetto che possiamo», dice Fontana.

E i ricordi iniziano subito a rincorrersi, a cercare di ricucire quella quotidianità lacerata in modo così inspiegabile e inaccettabile, messi nero su bianco, quasi a non voler dimenticare neanche il minimo dettaglio, in una lettera. L’ha scritta la 4ªB, la classe di Filippo, e l’ha letta, durante la breve cerimonia, il rappresentante d’istituto Manuel Marsico. Così, è come riascoltare «Filo» che interrompe le lezioni ogni cinque minuti, la sua risata, il suo commentare tutto ad alta voce convinto di non essere sentito. È come rivedere il suo quaderno, o meglio l’insieme di fogli sparsi nello zaino, i suoi «2» che sembravano alfa, il toast con il succo alla pera ogni mattina, la schiacciatina condivisa con metà classe. Era generoso e disponibile, Filippo, scrivono i suoi compagni. Ci vorrà molta forza per affrontare la sua mancanza.

«Hai insegnato a tutti noi a prendere la vita un po’ come viene, con serenità e il sorriso sempre stampato sul volto. Eri forte, intelligente come pochi, ma soprattutto grosso, avresti potuto fare qualsiasi cosa nella vita». Quella vita che, invece, gli è stata strappata via e che adesso lancia una sfida in più ai suoi amici: viverla anche al posto di Filippo, riempirla di cose belle, renderla di valore, portandolo sempre nel cuore. È lo sforzo che in questi giorni stanno facendo tutti gli educatori della scuola: condividere il dolore con i compagni di Filippo e, allo stesso tempo, rimetterli in cammino, costruendo del bene da quel banco vuoto, in prima fila.

Un minuto di silenzio ha concluso il saluto a «Filo». Ed era come se, tra le mani unite in quella lunga catena, ci fossero anche le sue.