«Falsi abbonamenti, incubo infinito»

Roberto Longoni

Quanto le sia costata in euro questa storia stenta a metterlo a fuoco: troppo in ogni caso. Ricorda bene invece quanta pace le è stata rubata. Da non dormirci la notte. Ci voleva una tregua corposa, per ritrovare il sonno. E allora, per effetto di una persecuzione scientifica, il telefono tornava a squillare. «Gentile signora, lo rinnoviamo o no questo abbonamento?»

A nulla erano serviti i «no» pronunciati con tutta la cortesia alla quale Anna (il nome è di fantasia) è obbligata da un'educazione da tempi andati. Nemmeno i rifiuti più secchi (pur se privi dei meritati epiteti) coglievano nel segno. Anzi: dall'altra parte del filo facevano partire minacce. Fino a quella di cause da pagare con salassi e sudate trasferte fino al tribunale a Roma. Provò pure a farsi aiutare da un'avvocatessa amica, Anna: delle raccomandate, la seconda è tornata indietro scaduta la giacenza. La prima, ritirata, è rimasta comunque senza risposta. Un muro di gomma. Anzi, di carta: è della truffa delle riviste che si parla. Quella che ha fatto finire dietro le sbarre di San Vittore quattro specialisti del settore: Luca Martire, 44 anni, Diego Cesare Diani, 42, Biagino Liberti Cerbone, 49, e Fabrizio Montanari, 41: secondo le accuse, amministratori di tre società alle quali erano legati numerosi call center.

Stando alle indagini della procura di Milano, facevano sottoscrivere abbonamenti a riviste delle forze dell'ordine, ma che con i tutori della legge nulla avevano da spartire, recapitando poi altre riviste ancora. Pare ci guadagnassero almeno un milione all'anno: la 70enne professionista parmigiana, (se è degli stessi truffatori che si parla) ha contribuito. E con essa almeno un altro nostro concittadino, dall'udito in difficoltà, che aderì al contratto telefonico solo dopo aver messo a fuoco la parola «polizia». A lui presto vennero chiesti 4000 euro per non si sa bene quale causa. Altrimenti, appuntamento in tribunale l'8 dicembre. Il giorno dell'Immacolata... Sono 42 le persone che hanno denunciato, dopo essere stati spolpati senza pietà, ma i turlupinati saranno molti di più.

Al quartetto vanno aggiunti gli indagati a piede libero: 25, operatori di call center che seguivano filo per segno le istruzioni per spremere a dovere le vittime, a seconda della categoria alla quale appartenevano. Se commercianti o imprenditori o se - i più - anziani, meglio soli, evitando gli sposati con avvocati o con rappresentanti delle forze dell'ordine. Anna, più portata a sondare le pieghe dell'anima che le zone d'ombra della società, in questa trappola è caduta nel 2013, quando si diceva che alla polizia mancavano i soldi perfino per la benzina. «Mi telefonò un “ispettore”, proponendomi l'abbonamento. “Può darci una mano” sottolineò». Lei aderì, pronta a pagare extra, per dare sicurezze in più alla sicurezza, dopo che i ladri le erano entrati in casa quattro volte in un mese.

Il primo abbonamento lo pagò al corriere che consegnò a casa sua anche la prima rivista intitolata in un modo che richiama sfacciatamente la Polizia di Stato (ma i nomi delle testate si rincorrono a decine). Un centinaio di euro. Lei il giornale nemmeno l'aprì. Ma cominciò a guardarlo con sospetto quando, un paio di mesi dopo, a chiamarla fu un «ufficiale della Guardia di finanza». Per proporre un altro abbonamento, a pagine sotto una diversa divisa. «In via Torelli mi risposero che la Guardia di finanza non c'entra per nulla. Anzi, mi dissero che avrei dovuto sporgere querela».

La rivista in questione non fu mai recapitata. Così come quella che millantava il nome dell'Arma (anche in questo caso, Anna capì che i carabinieri non c'entravano) Ma in compenso ne arrivarono altre. Di carattere finanziario, ispirate al mondo della Protezione civile, dei Vigili del fuoco. Lei accettò di malavoglia solo di rinnovare l'abbonamento alla prima testata. «Mi dissero che con loro era necessario inviare una disdetta: per amor di quieto vivere, pagai». Per le altre, non volle versare un euro, e dal call center cominciarono a piovere telefonate sempre più minacciose.

«Mi dissero che mi avrebbero trascinata in tribunale a Roma. “Pagherà anche le spese legali. In tutto, saranno almeno 40mila euro” mi disse un'“avvocatessa”». La paura in questi casi annebbia: si dovettero mettere d'impegno parenti e amici, perché Anna non cedesse al ricatto. «Mi sembrava inconcepibile che questa gente potesse permettersi di agire con tanta spavalderia. E intanto ero terrorizzata. Temevo per la mia incolumità. Due settimane fa mi hanno ancora chiamata». Ora pare che anche l'ultima pagina dell'incubo sia stata voltata. Squilla il telefono, in casa di Anna. E' il cugino esultante: «Hanno preso la ghenga». Potrebbe essere il titolo a caratteri cubitali della rivista della Polizia: di quella vera.